Florenskij, scienziato, mistico e martire che cercava la verità nella beltezza
TTL - Cl@assici | Nato nel 1882 in Azerbaigian, diventò prete ortodosso, vide nella rivoluzione bolscevica un ritorno alla tradizione della comunità contadina, fu condannato da Stalin al gulag in Siberia, morì fucilato
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“La stupidità opprime”, diceva Pavel Aleksandrovi_ Florenskij. “Mi stupisce l'assurdità delle azioni umane. Non trovano giustificazione nemmeno nell'egoismo, perché gli uomini agiscono anche a scapito dei propri interessi”. Pavel Florenskij fu uno scienziato, un mistico e un martire. Era nato il 9 gennaio 1882 a Evlach, in Azerbaigian. Era cresciuto in Georgia. Amava in eguale misura la filosofia, la teologia e la matematica. All’università di Mosca si laureò con una tesi sulle curve piane come luoghi di violazione della continuità. Fu paragonato, erroneamente, a Leonardo e a Pascal.
Prima di compiere trent’anni Florenskij diventò prete ortodosso. Vide nella rivoluzione bolscevica l’annuncio di un ritorno alla tradizione, nata a Bisanzio, della comunità contadina. Mentre il suo dio veniva provvisoriamente esiliato, Florenskij si presentava al lavoro in abito talare. Asseriva di essere un idiota, ossia una persona priva di ogni legame, che vive solo in sé e per sé.
Secondo Florenskij a distinguere i santi non è affatto la bontà, che può essere presente anche nei peccatori, ma la bellezza spirituale, assolutamente inaccessibile all’uomo rozzo. Amava la letteratura. Come il rumore di una lontana risacca, diceva, così l'unità ritmica dell’opera risuona all'autore. I temi se ne vanno e poi ritornano e di nuovo se ne vanno e ritornano ogni volta rafforzati, perché si riempiono dello stucco della vita.
Per arrivare alla verità, riteneva Florenskij, bisogna uscire da se stessi, ma questo è impossibile perché siamo imprigionati dalla materia. E allora, come salire sulla colonna della verità? Sappiamo solo che tra le crepe del raziocinio si intravede l'azzurro dell'eternità.
Secondo Florenskij, tutti i colori derivano dalla luce e dalla tenebra. Il rosso, colore dell'amore, e il bianco, colore della sapienza, derivano immediatamente dalla luce. Il giallo, che deriva dal rosso e dal bianco, è simbolo della rivelazione dell'amore e della sapienza. Anche l'azzurro discende dal rosso e dal bianco ed esprime la rinascita dell'anima mediante l'ascesi. L'essere in sé, cioè il Padre, è rosso e bianco. Il suo manifestarsi, cioè il Logos, è giallo e azzurro. L'atto che ne deriva, cioè la vivificazione dello Spirito Santo, è verde.
Per Florenskij la pittura d'icone è una metafisica e la metafisica è la pittura d'icone della parola. Per questo i veri teologi e i veri pittori d'icone si chiamano ugualmente filosofi. Fra tutte le dimostrazioni filosofiche dell’esistenza di Dio, la più persuasiva, sebbene non menzionata nei manuali, si può formulare, secondo Florenskij, con un sillogismo: “Esiste la Trinità di Rublev, quindi Dio esiste”.
Quando gli uomini di Stalin vennero ad arrestarlo requisirono i manoscritti, l'orologio e le posate d'argento. Era mattina presto. Florenskij andò dai suoi figli, li benedisse e pianse.. Visse a lungo nei gulag della Siberia e delle isole Solovki. Morì fucilato vicino a Leningrado il giorno della festa della Madre di Dio. Solo trent’anni più tardi si seppe della sua morte. “Nulla si perde completamente, nulla svanisce”, aveva scritto in una lettera, “ma si custodisce in qualche tempo e in qualche luogo, anche se noi cessiamo di percepirlo".
IL LIBRO
Pavel Florenskij, Il valore magico della parola, a cura di Graziano Lingua, Medusa, 103 pp., 15 euro