Ma quella seduttrice era uno statista
Una mostra a palazzo Ruspoli ricostruisce la figura controversa di Cleopatra. Odiata e invisa, non solo al tempo dei romani, perché usava il fascino come un'arma politica
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«Una donna intelligente, colta, poliglotta, bella, elegante e che sa indossare il potere, ipso facto assume agli occhi dei maschi una connotazione peccaminosa. Se poi arriva ai vertici, viene considerata una prostituta. Questo al tempo degli antichi romani, e tanto più nei tempi successivi, e ancora oggi». A parlare non è una femminista militante, ma uno storico pacato e sapiente come Luciano Canfora. L'oggetto della conversazione è Cleopatra, verso cui la tradizione storica e letteraria dell’Occidente ha sempre espresso un’unanime condanna politica e un’ossessiva riprovazione etica.
«Cleopatra, nella storia della politica, è un caso limite» sottolinea Canfora. «Nessun altro personaggio è stato mai altrettanto inviso alle fonti superstiti quanto l'ultima erede dei Tolomei. Anche Robespierre ha avuto i suoi fedelissimi. Cleopatra no». Da Cicerone a Plutarco, da Dante a Brecht, il coro - maschile, certo - delle fonti è unanime. Cicerone la detestava. Orazio brindò alla notizia della sua fine (la celebre ode nunc est bibendum, «mai fu scritta poesia più ridicola», puntualizza Canfora). Dante la spedisce dritta all'Inferno, nel girone dei lussuriosi (“Cleopatràs lussuriosa"). Lo smaliziato Shakespeare neanche la menziona nel Giulio Cesare (come d'altronde Cesare stesso nei suoi scritti) e nell'Antonio e Cleopatra la demonizza; “il serpente del Nilo”. Su di lei le epoche successive costruiscono a modello della femme fatale: plagiatrice di uomini, circondata di lusso esotico e di una sacrilega aura sacerdotale, dosatrice di filtri e veleni, manipolatrice di serpenti, emanante dagli occhi bistrati il fluido ipnotico e mortifero di Medusa. È un archetipo che investe sempre donne che indossano, insieme al costume dell'Oriente, la veste del potere: imperatrici, regine o cortigiane, da Erodiade a Salambò alla bizantina Teodora, fino alla grande Caterina II di Russia, chiamata “la Cleopatra del nord". Nelle Notti egiziane di Puskin Cleopatra è una donna-vampiro mai sazia del sangue dei suoi amanti. É “pigra e depravata" per il pubblico di Théophile Gautier. È “puttana" per il marxismo maschilista di Brecht, che nell'edera da tre soldi fa cantare a Jenny: «La gran bellezza di Cleopatra / ben poco le servì / Abbindolò due imperatori / ma poi nel vizio s’imputtanì». E il cinema la dipinge sempre più oca e formosa, da Claudette Colbert a Vivien Leigh alla matronale Liz Taylor.
Ma, al di là delle mistificazioni e della censura delle fonti, qual è la Cleopatra storica?
«Era un personaggio di notevole statura politica e un'abile statista, considerate le condizioni disastrose dello Stato che aveva ereditato, un tempo glorioso, ma nel primo secolo ormai prossimo al disfacimento, divenuto satellite di Roma dopo che Tolomeo Aulète lo aveva svenduto e i dominatori latini, installandovi avventurieri di ogni sorta, lo avevano reso terreno di sfruttamento, di violenze e corruttele».
E con tale disastro, quale fu la sua politica?
«Disinvolta e realista, l’unica possibile e peraltro la stessa dei suoi interlocutori latini, derivata dalla tradizione ellenistica. Pugnalate e avvelenamenti, compromessi e tradimenti non erano una prerogativa della regina d’Egitto, ma rientravano nella prassi della politica antica, compresa quella romana. Una tradizione inestinta: nell'uso del crimine per fini politici nessuno fa eccezione, basti pensare alla prassi plurisecolare della Chiesa».
Cleopatra antesignana degli intrighi e delle pompe vaticane, non male come provocazione, lei che si proclamava reincarnazione di Iside e si faceva portare in processione sul Nilo sopra un palazzo galleggiante...
«Anche la Chiesa usava le liturgie e le cattedrali. Tutto questo rientrava nella concezione ancestrale del potere. Una sacralizzazione e spettacolarizzazione che dai faraoni egizi, passando per l'ellenizzazione di Alessandro, diverrà specifica della monarchia alessandrina. E poi, per vendetta della storia, pervaderà lo stesso impero romano: basti pensare a Nerone, ad Adriano...».
Anche lui risalì il Nilo con un compagno idolatrato e divinizzato. Eppure, l’accusa di immoralità e l'obiezione sul comportamento sessuale sono ricadute su Cleopatra. Che invece, nei suoi connubi, dimostrò buon senso politico, legando il suo Stato ai dominatori romani con un’alleanza dinastica e una precisa discendenza: diede infatti figli sia a Cesare sia ad Antonio…
«E Cesarione avrebbe potuto assumere non solo la corona d’Egitto, ma quella dell’Impero romano, non ci fossero state le Idi di Marzo. Cesarione fu un investimento, una potenzialità che non si realizzò per le imprevedibili svolte della storia. Ma le relazioni personali di Cleopatra con gli statisti romani costituivano l'anticamera di un'azione politica coerente al modello ellenistico, e molto precisa. Se guardiamo alla sua strategia, prima che divenisse famosa e temuta, ancora durante la guerra civile, vediamo che si legò al partito di Pompeo, catturando l’animo del suo figlio maggiore e ponendosi quindi nella clientela e nell'area di riferimento del massimo dominatore dello scacchiere orientale. Ottenendo l'appoggio militare e la promessa d’invio di una squadra navale».
Ma poi Pompeo fu sbaragliato a Farsàlo, schiacciato proprio sul terreno in cui era più forte.
«E dinanzi a questo imprevisto Cleopatra sa riconvertire la situazione abbastanza rapidamente. Anche se è battuta sul tempo dal fratello-rivale. Tolomeo XIV, che fa assassinare Pompeo per amicarsi Cesare - probabilmente contro i desideri di Cesare stesso - Cleopatra, usando il suo fascino personale, riesce a tessere con il vincitore un’alleanza che la fa nuovamente prevalere».
Appunto, il famoso fascino. Gli storici antichi raccontano lo stratagemma che usò per introdursi al cospetto di Cesare. Si fece trasportare nella sua reggia, sul far della notte, da un sedicente mercante di tappeti, Artemidoro, in realtà suo cortigiano, arrotolata in un sacco di lino. Il che suggerisce che dovesse essere piccola e molto magra, altro che Liz Taylor.
«E infatti lo era: piccola, esile, e molto spregiudicata. Plutarco per la verità la definisce "sfrontata": scrive che Cesare rimase “affascinato dalla sfrontatezza della donna”».
D'altronde Cesare, a quanto riferisce Dione Cassio, era "particolarmente aperto alle esperienze d’amore": erotikòtatos.
«Alludendo, probabilmente, alla sua bisessualità. E forse anche questa tendenziale ambivalenza lo portava ad apprezzare Cleopatra che non era certo una matrona catoniana larga e baffuta, né l'esponente di un sesso debole e subalterno. Plutarco aggiunge che Cesare fu “vinto dalla sua conversazione". Questo testimone parziale e ideologico, che della vicenda tra i due ci fornisce un polpettone dosato e precotto, dedica invece grande attenzione alle risorse linguistiche di Cleopatra. E cosi del resto anche la storiografia successiva, fino ai moderni: questo è l'unico lato della sua personalità valorizzato anche dai manuali più austeri e misogini della tradizione otto-novecentesca. La regina Cleopatra parlava tutte le lingue dei suoi sudditi e quelle dei principali potentati stranieri. Scrive Plutarco nella Vita di Antonio: “Aveva una voce dolcissima e sapeva usare la lingua come uno strumento musicale dalle molte corde, in qualunque idioma volesse esprimersi"».
Un aspetto da giovanetto, un lungo naso - come testimoniano i ritratti in mostra - un’educazione poliglotta e una cultura cosmopolita e si presume anche una conversazione spiritosa. Più che una /emme fatale, sembra una Mademoiselle de Maupin...
«Trovo. E penso proprio che l'intelligenza fosse la componente essenziale del fascino di Cleopatra».
Dunque tutto il contrario dello stereotipo ferino e sensuale che ci presentano le fonti, della Cleopatra meretrice lussuriosa, che faceva impazzire d'amore gli uomini grazie alle sue abilità d'alcova.
«Gli uomini non si innamorano delle donne per queste abilità. Gli uomini si innamorano dell'intelligenza». Bella presa di posizione. Fa venire in mente la risposta che lei ha dato, in un'intervista televisiva, al conduttore che le chiedeva se avesse mai perso la testa per una donna: “Perdere la testa, che brutta espressione” ha replicato. “Le donne la testa la fanno migliorare". Vale anche per Cesare?
«Certo. Cesare non perde la testa, ma cambia testa politica grazie agli stimoli intellettuali di Cleopatra».
Però, di nuovo, l’accusatorio Plutarco scorge nella sua passione per la “provocante levantina” la causa irrazionale di una guerra incauta e difficile come quella di Alessandria.
«È un parere condiviso da Napoleone nel Précis des guerres de César, anche se Bonaparte lo esprime in modo più sfumato. Ma è un parere sbagliato. L'errore, anche volendo ammettere che ce ne sia stato uno, non fu innamorarsi di Cleopatra, ma se mai inseguire Pompeo dopo che era stato sconfitto a Farsàlo. Inseguimento che anche Napoleone condanna. Così come è sbagliato vedere in Cleopatra, secondo lo stereotipo comune, una cortigiana opportunista che si lega a un potente. Cleopatra immette nella testa di quel potente alcune idee politiche, questo è il punto. È la suggestione del mondo di Cleopatra, di Alessandria - la città più grande del Mediterraneo oltreché la più colta - a suggerirgli l'idea di una grande campagna d’Oriente e, forse, di una base orientale per il suo impero. Idea che le Idi di Marzo non gli consentiranno di sviluppare, e di cui perciò non avremo mai nozione storica. Ma è un fatto che chi voleva inoltrarsi nel regno partico non poteva non avere basi in Palestina e in Alessandria. L'idea “orientale" di Cesare è statua proseguita da Antonio, che della sua politica è il vero erede. Ottaviano sfruttò la qualità del figlio adottivo di Cesare per farlo dimenticare (non a caso nell’Eneide, l'opera che celebra l'ideologia augustea, Cesare è ridotto a un verso). Ma la continuità ellenistica, l’idea di una monarchia orientale che da Alessandria e Cleopatra in poi si era insinuata nella mente di Cesare, passò attraverso Antonio».
E infatti Cleopatra, morto Cesare, si lega ad Antonio.
«A dimostrazione, di nuovo, della sua coerenza di stratega e statista. Cleopatra in Antonio non conquista un partner, ma individua l'erede della linea politica di Cesare e della sua prospettiva planetaria, nel quale era inclusa. Un erede che, dopo l’accordo triumvirale, è il suo interlocutore naturale in quanto signore d'Oriente. Dal canto suo Antonio eredita, in Cleopatra, una politica e una cultura - non solo una concubina».
La cultura di uno stato multietnico, improntata al pluralismo, si rispecchia nella poliglossia di Cleopatra così rimarcata dalle fonti storiche.
«Se è per questo Cleopatra stessa, secondo alcuni storici, era di pelle scura: un'africana. In realtà, se vogliamo, la censura verso Cleopatra, nata nell'atmosfera dell'occidentalismo e del perbenismo augusteo - non a caso compreso e attualizzato nel Novecento dalla propaganda e dall'imagerie fascista - riassume in sé tutte le declinazioni del razzismo. Nella figura di Cleopatra si discrimina e diffama il sesso femminile che rappresenta, la politica multietnica che incarna, la razza mediorientale da cui ha origine e alla quale dà immagine. È una discriminazione fascista: in definitiva il vero nucleo del fascismo è stato il razzismo».
Nel suo Giulio Cesare lei ha definito “poco sensata e oscura" la famosa battuta di Blaise Pascal sulla forma del naso di Cleopatra. Come riformularla? Se non fu il naso di Cleopatra, cosa cambiò la storia?
«La storia avrebbe avuto un corso diverso se Agrippa, il formidabile generale di Ottaviano, avesse avuto l’influenza il giorno della battaglia di Azio. Le sorti dell'umanità si decidono nelle battaglie».