Silvia Ronchey

Benvenuti nel mio sito personale
  • Home
  • Articoli
  • Press & Media
  • Libri
  • Recensioni
  • Accademia
  • Ritratti
  • Agenda
  • Bio

Articoli

  • Noi e gli antichi
  • Noi e Bisanzio
  • James Hillman
  • Religione, teologia, mistica
  • Interviste
  • Attualità e rubriche
Religione, teologia, mistica

Tutti pazzi per Delfi. Il ritorno degli oracoli

Da Eleusi a Dioniso, da Orfeo alla Sfinge in libreria è boom di saggi che indagano religioni e culti iniziatici dell’antica Grecia. E che parlano soprattutto di noi

03/03/2016 Silvia Ronchey

Articolo disponibile in PDF

Scarica il pdf (254 Kbs)

La Repubblica

Quando san Paolo, nel tredicesimo capitolo della prima lettera ai Corinzi, parla dell'iniziazione ai misteri cristiani, descrive così la condizione umana: «Ora vediamo attraverso lo specchio di un enigma», "per speculum in aenigmate". «Poi, vedremo faccia a faccia». Lewis Carroll usò l'espressione «attraverso lo specchio» (Through the Looking Glass) come titolo del secondo volume di Alice nel paese delle meraviglie, che è un trattato sui mi­steri dell'antichità (quelli eleusini per esempio: pensiamo al neonato che si trasforma in maiale nella cucina della Du­chessa), anche se viene considerato un libro "per piccoli". Come del resto altri li­bri simili della seconda metà dell'Otto­cento, tra cui il Pinocchio di Collodi, a sua volta ispirato da una precedente nar­razione dall'apparenza fiabesca, in real­tà iniziatica, le Metamorfosi di Apuleio.
Non è un caso. "Piccolo" era nel mon­do ellenico il nome in codice del "non ini­ziato", di chi attendeva l'iniziazione: «Quando ero piccolo (parvulus) parlavo da piccolo, conoscevo da piccolo, ragio­navo da piccolo. Ma ora che sono adulto (vir), ciò che era da piccoli l'ho elimina­to». Anche la parola "enigma", che com­pare subito dopo, è una parola spia. Era "per enigmi" che la parte più profonda e più mistica, "misterica" appunto, della religione greca veniva comunicata a chi attendeva l'iniziazione.
Per enigmi parlava la Pizia a Delfi. Il santuario di Apollo, attivo almeno fin dall'VIII secolo a.C., come spiega Mi­chael Scott (Delfi. Il centro del mondo antico, Laterza, pagg. 368, euro 25), era l'omphalos, il cordone ombelicale attra­verso cui il profondo viaggio mistico del­la religione ellenica teneva collegato il solare mondo greco all'oscuro grembo della tradizione misterica ancestrale. Physis kryptesthai philei, «la natura ama nascondersi», ammoniva Eraclito; e aggiungeva: «L'oracolo non dice né na­sconde: dà segni» (semainei), come rife­risce nel De Pythiae oraculis Plutarco.
«Guarda, ritornano, uno per uno, / con passo incerto, solo a metà svegli», scriveva Ezra Pound in quella magnifica poesia intitolata Ritorno. Oggi gli dèi del­la Grecia ritornano in un corteo di libri sui culti e i misteri del loro antico regno. Oggi, nel revival della storia delle religio­ni, ritorna l'interesse per il paganesimo mistico e profondo, come nel vecchio Ri­nascimento, ora anche nel nuovo.
Se il solare Apollo suggeriva la sua co­noscenza attraverso un tenebroso in­treccio di parole, da districare a costo della stessa vita, anche Gesù nel Vange­lo — spiega Maurizio Bettini (Il grande racconto dei miti classici, Il Mulino, pagg. 503, euro 48) — formula enigmi quando recita le sue parabole. Come quella del seminatore, che i discepoli non comprendono: «Se non capite il si­gnificato di questa parabola, come fare­te a capire tutte le altre?», li rimprovera Gesù. «Il seminatore semina la parola»: solo una piccola parte del seme non muo­re. Lo sapeva André Gide.
È la risoluzione dell'enigma per eccel­lenza, quello della Sfinge, creato da un uomo, rivolto a un altro uomo, che ha per soluzione l'uomo — Simone Beta, Il labirinto della parola. Enigmi, oracoli e sogni nella cultura antica (Einaudi, pagg. 347, euro 32) — a gettare Edipo nella condizione esistenziale ancora più fittamente misterica che lo rende il pro­tagonista del mito greco più famoso al giorno d'oggi, l'alias di ciascuno di noi, la maschera primaria del gran teatro del mito su cui si proietta il mistero univer­sale dell'inconscio.
«Conosci te stesso», recitava la scritta sul frontone del tempio di Delfi, e per quante interpretazioni ne siano state da­te, da Platone all'Oracolo di Matrix, qua­si nessuno ha in seguito dubitato che il mistero del mondo giaccia nel profondo dell'io, in sotterranei della coscienza si­mili all'adyton dov'era conservata, sot­to la pavimentazione marmorea del tem­pio, la sacra pietra che indicava il centro del mondo.
Plutarco, sacerdote delfico, forse il più grande conoscitore della religione el­lenica, in un altro dei suoi dialoghi pitici fa discutere gli interlocutori sul significa­to dell'altrettanto famosa e di Delfi, «of­ferta sacra al dio» inscritta tra le colonne frontali del tempio. Le interpretazioni dei dialoganti sono ancora più misterio­se, forse, della scritta. La più amabile è quella di Nicandro, secondo cui sta per ei, la particella interrogativa "se".
Come testimoniato da Petronio e ri­cordato da Eliot in exergo alla Terra deso­lata, la Sibilla cumana, alla domanda «Cosa vuoi?», rispondeva: «Voglio mori­re». La "morte al mondo", stato di trance per la sacerdotessa, era anche condizione perché il fedele potesse fruire dell'in­segnamento segreto dell'oracolo: «L'ani­ma è nell'ignoranza tranne quando si trova nel processo di morte. Perciò an­che il verbo "morire" e il verbo "essere iniziato" si somigliano», recita un fram­mento di Plutarco sui Grandi Misteri eleusini.
Morte e vita unite insieme in una sola esperienza iniziatica, l'epopteia, in cui l'immortalità coincide con l'espansione della coscienza che muore al principio d'individuazione: è il segreto, o almeno uno dei segreti, dell'iniziazione più im­penetrabile del mondo antico, quella di Eleusi, dove la morte non è peraltro solo condizione metaforica di uscita dall'io, ma è anche attuata materialmente nel sacrificio umano che occhieggia dalla sterminata profusione di inquietanti quanto reticenti testimonianze pagane e cristiane (ora integralmente raccolte nell'antologia Eleusis e Orfismo. I Miste­ri e la tradizione iniziatica greca, a cura di Angelo Tonelli, Feltrinelli, pagg. 639, euro 14) su «quelle peripezie terribili, brividi, tremori, sudore e sbigottimen­to» che nell'immenso telesterion di Demetra, non lontano dalla Pietra Senza- sorriso, il 20 del mese di Boedromione, al termine di un'interminabile proces­sione orgiastica, metteva in scena la di­scesa agli inferi di Persefone e la sua rina­scita nel ciclo primaverile della terra.
L'immagine della Madre e della Fi­glia, la spiga mietuta dallo ierofante, la melograna rosso sangue, il sacro accop­piamento, le altre "cose indicibili", la Grande Luce che tutti descrivono lam­peggiare "in alternanza" dal sottomon­do di tenebra: il dramma sacro eleusino, residuo di riti dell'antica religione fem­minile — meno quella di Iside, di cui ci parlano Apuleio e Collodi, che quella dell'antica Dea Bianca di Graves — non dava al miste "un insegnamento", ma, come spiega Aristotele, "un'impronta", un marchio: «L'iniziato non deve appren­dere qualcosa ma raggiungere una cer­ta condizione psichica», disporsi a uno stato di coscienza alternativo, altrimen­ti irraggiungibile e da allora irreversibi­le, cui non necessariamente concorreva il kykeon, la bevanda sacra dei misteri, forse dotata di proprietà psicotrope, ma che certamente, come esplicitato anche nelle lamine orfiche, abbatteva la strut­turazione dell'io in una promessa di im­mortalità "felice e beatissima" e tanto più dolce in quanto già attuata nella morte in vita. «Nella religione degli antichi greci si manifesta la facoltà di vedere il mondo nella luce del divino. E le forme nelle qua­li questo mondo si è manifestato divina­mente ai greci non dimostrano forse la loro verità nel fatto che vivono ancora og­gi?», scriveva nel 1929 Walter Otto (Gli dèi della Grecia, ripubblicato da Adelphi, pagg. 343, euro 42). Anche dopo la fine del paganesimo, anche se, come de­nunciò Plutarco, «il grande Dio Pan è morto», il mito greco è rimasto vivo. Se qualcosa è cambiata, non è stata certo la psiche umana, ma la la sua capacità di collegarsi a quel "tutto" con cui secondo san Clemente di Alessandria i Grandi Mi­steri di Eleusi avevano a che fare; a quel­la che i neoplatonici avrebbero chiama­to l'anima del mondo: la sua "religione", da "religo", legare. Gli dèi dell'antichità sono scomparsi solo in apparenza. Si so­no inabissati nel profondo dell'inconscio collettivo, per riaffiorarne continuamen­te: come sintomi, ha intuito Jung, per­ché il mito e il sintomo sono la stessa cosa, perché «se vogliamo studiare la soffe­renza umana», come ha detto James Hill­man, «dobbiamo studiare il mito».

 


  • Home
  • Articoli
  • Press & Media
  • Libri
  • Recensioni
  • Accademia
  • Ritratti
  • Agenda
  • Bio


© 2025 Silvia Ronchey, riproduzione vietata.

Facebbok