Per Narciso il mondo è solo uno specchio
Un mito, dall'antichità ai giorni nostri
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Che cos'è il narciso? In termini botanici, un fiore giallo. In termini mitologici, e anche psicologici, un individuo "pazzo, anzi pazzo di sé", come scrive Maurizio Bettini nell'illuminante racconto che apre II mito di Narciso, nella serie "Mythologica" da lui stesso diretta per Einaudi (pp. 222, € 16). Un mito il cui protagonista è in realtà quasi immortale, e vive ancora oggi, e si incarna anzi in una varietà sempre più ampia di figure. E’ Bettini stesso a suggerirlo, ambientando la confessione del suo Narciso nel campus universitario di Berkeley. Chi è allora, oggi, il narciso? E' il regista che premia, dei suoi allievi, solo quanti riflettono ed esaltano la sua opera. E' il seduttore che ama solo lo sguardo ammirato, riverbero di sé arroventato dal desiderio. "Brucio d'amore per me stesso, suscito e subisco la fiamma!", grida Narciso nella più celebre versione del suo mito, quella narrata nelle Metamorfosi di Ovidio. Narciso possiamo figurarcelo biondo, come Apollo o come il fiore che nasce dalla sua morte, e con gli occhi chiari come l'acqua della fonte in cui tenta di baciare le sue stesse labbra. Ma Narciso viola così il più antico precetto di Eros: "Ama chi ti ama, per essere amato". E se, con Platone, intendiamo per eros quella forza da cui nasce tutto, compresa la creatività letteraria, possiamo presumere che la punizione del moderno narciso, incapace di uscire da sé, non sia solo quella di non conoscere la vera sostanza dell'amore, come spiega Bettini alla fine del suo apologo californiano, ma anche quella di ignorare la vera essenza di ogni ricerca, il narciso infatti non può mai attingere a una fonte che non lo rifletta già. Non può ammettere che il mondo non sia solo un immenso specchio, destinato a glorificarlo. L'aridità è la vera punizione del narciso, fiore "dal calice reclinato come se stesse sempre per appassire". Il nuovo Mito di Narciso Einaudi è scritto a quattro mani. E, a questo punto, ci si potrebbe chiedere: "Non saranno magari due, che si rispecchiano?". In effetti la parte più ampia del libro, quella composta da un grecista insigne e grande esperto del tema come Ezio Pellizer, riflette in alcuni punti gli studi di Bettini sul tema del doppio. Ma la devozione dell'autore del saggio per l'autore del bel racconto che lo accompagna non è quella della ninfa Eco, è se mai quella del sacerdote di Apollo, dell'iniziato ai misteri. La sua ampia e documentatissima indagine si pone anzitutto una domanda cui nei millenni, dai dotti bizantini a Calderón de la Barca, da Plotino a Lévi-Strauss, si è cercato di dare risposta: "Che cosa ha veramente visto o che cosa cercava di vedere Narciso nello specchio della sua chiara fontana?". Di questo grande specchio mitografico Pellizer perlustra le infinite sfaccettature, le esegesi, le allegorie e i simboli in cui si scompone la storia del desiderio ripiegato su di sé. Fino al secolo della psicanalisi, in cui il nome e la vicenda di Narciso, così come quella del suo conterraneo Edipo, hanno preso a descrivere in modo simbolico un preciso complesso. Freud, spiega Pellizer, si ispirò al racconto greco per definire i tratti di un investimento oggettuale sbagliato della libido da parte di soggetti narcisisti, destinati a sprofondare sempre di più nella nevrosi o in quell'orientamento amoroso omosessuale che allora si chiamava "inversione" e che risulta già evidente nel primo racconto greco di Conone. E' stato del resto il portabandiera dell'omosessualità moderna, Oscar Wilde, a raccontare meglio la sconfitta del narciso. La chiara fonte, in lutto, ormai salata e amara come le lacrime, confessa alle ninfe dei monti: "Quel povero Narciso! Era poi così bello? lo lo amavo solo perché potevo vedere, nello specchio dei suoi occhi, la mia bellezza".