Silvia Ronchey

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Attualità e rubriche

Gli orrori di Tamerlano

Lettere da Bisanzio

15/07/1999 Silvia Ronchey

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Avvenire

«Tamerlano corse per la regione / e saccheggiò, brutalizzò, uccise. / leromonaci e monaci in specie / gli uni mise allo spiedo e fece arrosto / mentre le te­ste dei frati cadevano / di quà, di là. / Altri come sup­plizio ricevettero / in gola braci ardenti / e sopra il petto olio bollente, / altri i polsi legati alla schiena / e il capo tra le gambe / di ingurgitare vetro soppor­tarono / e di ricevere in fac­cia pece ardente. / Ma in specie profanarono le suo­re / le presero per vergini baccanti [Pindaro, Piti­che, 10], / in ambedue i mo­di violentandole: / come si fa alle donne e come agli uomini, / monache ses­santenni ed anche più».
Il frammento poetico ri­trovato in un codice della Biblioteca Nazionale di Parigi, composto di 97 ver­si politici (adattamento accentuativo del trimetro giambico della tragedia greca), datato all’anno 1443 e vergato «in pessima calligrafia da un copista negligentissimo» (pessime scripto a scriba negligen­tissimo) secondo l’indica­zione di G. Wagner, il suo primo editore, narra il passaggio di Tamerlano in Anatolia (Timur e-lang, «Timur lo Zoppo»). Fu una tappa determinante nell’ultimo secolo di Bi­sanzio. Annientando nel 1402 sul campo di Angora (Ankara) la potenza del turco Beyazid, l’ondata mongola ritardò di mezzo secolo la caduta del­l’impero. «Un gigante di nome Timur persiano di Persia alla te­sta di eserciti» fu mandato dalla Provvidenza del Signore miseri­cordioso alla sua vigna Co­stantinopoli, cinta d’asse­dio da Beyazit (in greco Pagiazitis), protervo figlio dell'Agar, durante il regno di Manuele II Paleologo. La dilazione costò tuttavia molto cara ai suoi abitan­ti. «La città risuonava di pianto / e per le strade, insieme casa e tomba, stavano sparsi i morti per fame».
Beyazit aveva formulato «mi­nacce enormi, scandalose»: nel 1443, dieci anni prima della con­quista di Mehemet II, che le avvererà alla lettera, ap­paiono all’autore assolu­tamente incredibili, iper­boliche: «Quando avrò conquistato la Città / de­molirò le Mura di Terra, / salirò sulla cupola fino al­la bandiera: / Santa Sofia diverrà una moschea». / «Ma Tamerlano lo ac­chiappa per la barba, /gli leva il fiato, lo manda dai suoi avi».
Il Gigante Persiano è un ben scomodo inviato della Provvidenza. L’autore dei versi, probabilmente testi­mone oculare di quanto narra, dà un elenco delle violenze inferte dai mon­goli agli abitanti della pro­vincia costantinopolitana. È un elenco di sinistra at­tualità: «Bambini sotto l’anno, sui tre mesi, / strapparono alle madri, fracassarono in terra; / e con le nude mani abbran­carono / le gravide che avevano nel ventre / un em­brione, perché lo abortis­sero / e per picchiarle poi selvaggiamente / per farle poi correre e scappare; / e gli uomini che le volevano seguire, / formando con lo­ro una sola carne / secon­do il verbo divino della bib­bia, [Genesi 2,24] / senza pietà li decapitavano. / E inventarono un’altra orri­bile violenza: / stuprava­no le mogli davanti ai ma­riti, / non solo dei laici, ma anche dei preti, / e i figli violentavano, maschi e femmine, / mentre i padri giacevano, mani e piedi legati, / e con gli occhi ve­devano tanta sventura / che ad alcuni, per averla più volte subita, / il cuo­re si fermò, e la vita». La lista delle atrocità conti­nua, finché la scrittura non si interrompe.


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