Il sultano salvò la Santa. La storia dell’intolleranza è recente
La storia dell'intolleranza è recente
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Quando il 29 maggio 1453 I turchi di Mehmet II conquistarono Costantinopoli, i cittadini di Bisanzio, sperando invano di salvarsi, si rifugiarono a centinaia sotto l’immensa cupola della basilica di Santa Sofia: la stessa che ora, per la prima volta da allora, riceve la visita del papa di Roma. Racconta lo storico Tursun Beg che il giovane sultano, vedendo il massacro, rifletté sulla caducità terrena e si limitò a pregare Allah. Ma quando scorse uno dei suoi soldati smantellare con l’ascia l’antico pavimento di marmo della basilica cristiana, gli fermò il braccio: “Accontentati del denaro e dei prigionieri, gli edifici della Città non li toccare”.
Se oggi Benedetto XVI può entrare a Santa Sofia, se può contemplare intatti i meravigliosi mosaici che raffigurano gli imperatori bizantini, successori in una linea giuridica ininterrotta di quelli romani, è perché gli ottomani, a partire dal giovane Conquistatore, non solo rispettarono sostanzialmente i tesori dell’architettura e dell’arte di Bisanzio, e non solo mantennero al loro fianco quelle élites sociali greche che anziché rifugiarsi sotto l’ala del papato preferirono, come si diceva allora, “il turbante turco alla tiara latina”, ma conservarono anche, nel loro lungo impero, i fondamenti della tradizione bizantina. Non va dimenticato che, mentre nell’analoga e se possibile anche più rovinosa conquista di Costantinopoli del 1204 i crociati sostituirono le gerarchie ecclesiastiche ortodosse con gerarchie latine, i sultani turchi invece le mantennero, accanto a quelle islamiche, con onore. Non solo. L’islam turco mantenne in vita la tradizione statale, giuridica, amministrativa di Bisanzio, quella formidabile alleanza tra filosofia greca e diritto romano che è ciò che definisce la nostra civiltà europea: quella stessa che papa Ratzinger ha evocato nel suo discorso di Ratisbona, purtoppo incidentato da una citazione fuori contesto.
E’ la secolare osmosi con la nostra millenaria eredità culturale romano-bizantina, la capacità di ibridarla con l’islam, a rendere quell’istmo tra Asia e Europa che è la mèta del papa tanto importante oggi per la nostra sopravvivenza. E’ un istmo geografico, ma anche metaforico: non una cesura, ma una possibilità di mediazione, nel cosiddetto scontro di civiltà tra oriente islamico e occidente cristiano. La storia dell’intolleranza è recente, mentre il passato ci racconta, a volerle ascoltare, storie di convivenza e integrazione. In questo preciso momento, dopo la sospensione del negoziato di Helsinki per il compromesso su Cipro, Benedetto XVI si trova ad essere l’unico capo di stato europeo a porgere la mano alla Turchia. Quando metterà piede a Santa Sofia, speriamo lo faccia con la forza della memoria: ricordando, da uomo colto qual è, che quel monumento salvato e preservato, se pur trasformato in moschea, è il simbolo evidente di una vicenda comune che non possiamo negare.