Babbo Natale vi sembra l'orco cattivo?
Santa Klaus, secondo una leggenda nordica, è una figura demoniaca, l'Uomo Nero che rapisce i bambini, adescandoli con i dolci. Ecco perché le chiese lo hanno più volte bandito. Ed ecco perché, invece, è il simbolo del perfetto consumismo
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Babbo Natale è un migrante turco. Viene dalle coste dell’Asia Minore, da quello che oggi è un paese di pescatori, Demre, in Licia, vicino ad Antalya. In realtà non è proprio turco, perché quando visse, e si chiamò Nicola, e fu amato e venerato vescovo della città che allora si chiamava Myra, quel quadrante di mondo faceva parte dell’impero bizantino ed era stato per secoli e ancora era, contrariamente a oggi, un teatro di civiltà e tolleranza in cui etnie e culture si incontravano e convivevano in armonia. E in realtà non è proprio un migrante, perché a lasciare Bisanzio, negli anni 80 del Mille, sette secoli dopo la sua morte, fu costretto da certi avventurieri occidentali — pirati, o mercanti: non che all’epoca tra le due categorie vi fosse gran differenza — che trafugarono e trasportarono le sue venerate reliquie oltremare, nella Puglia normanna.
Proprio della navigazione e dei marinai era del resto protettore, secondo le leggende agiografiche greche, san Nicola il taumaturgo, futuro Santa Klaus — dal latino Sanctus Nicolaus, frantumato in una pletora di calchi e abbreviazioni linguistiche —, ipòstasi cristiana di Poseidone, come dimostra la conversione al suo culto di antichi templi microasiatici dedicati al dio del mare, che già nel mito portava doni ai bambini: cos’altro erano quelle conchiglie ritorte e madreperle e coralli e tutti quei frammenti di oggetti trasformati e politi dalle onde che depositava sulle spiagge, per la loro meraviglia, il potente respiro del mare?
E’ questo forse, più di narrazioni tardive come la leggenda delle tre adolescenti salvate dalla prostituzione, accolta in Iacopo da Varazze e ripresa da Dante, a legare ancestralmente ai bambini il culto di san Nicola, che da Bari, dove intorno alle reliquie rubate fu innalzata la basilica che porta il suo nome, si trasmise, al tempo di Ottone II, consorte della bizantina Teofàno, in tutta Europa: nella Roma dei papi e nella Francia delle corti, nella Mitteleuropa, in Svizzera, in Belgio, in Olanda e nelle regioni germaniche e nordiche in cui il suo culto si ibridò con quello, proprio del folklore dei popoli di laggiù, del potente Odino, il dio viandante dotato, come Polifemo, di un occhio solo. Era il mito della caccia notturna di Odino e del fantasmatico esercito dei suoi guerrieri defunti, alla vigilia del solstizio d’inverno, a indurre i bambini a riempire di paglia le loro scarpe per sfamare il cavallo volante del dio, placandolo e propiziando la metamorfosi in cibo e doni di quella misera offerta lasciata accanto al camino.
Se il cavallo bianco diventerà un altro attributo del primo Babbo Natale nordico, la discesa attraverso la canna fumaria è uno dei tratti più resistenti della leggenda che da allora ha associato, in tutto il Nordeuropa, san Nicola a Odino. A introdurla è una sua antica variante, sempre di origine tribale germanica, in cui il nume del solstizio si sdoppia nella figura di un “uomo santo”, ammantato e barbuto come un vescovo bizantino, e in quella di un demone o troll, un Uomo Nero che calandosi dalla cappa del camino uccide in sogno, o nel sonno, i più piccoli. E secondo alcuni di questi racconti Babbo Natale non è la figura primaria, vescovo greco o dio norreno che fosse, bensì la sua ombra demoniaca, l’Uomo Nero stesso, quando, circondato da elfi e folletti, è convertito e rabbonito. Ma non del tutto, se è vero che in altre ramificazioni folkloriche ad alcuni bambini porta doni ma altri li mette nel sacco, rapendoli, portandoli ai pirati mori e ricomponendo così circolarmente, quanto inconsapevolmente, la vicenda del corpo del santo da cui prende il nome.
Se era uso medievale eleggere, a dicembre, un episcopus puerorum, un “vescovo dei bambini”, che rimaneva in carica, circondato dalla sua corte infantile, sino alla fine dell’anno, il rapporto di Santa Klaus con i pueri non fu sempre, quindi, benevolo. Anzi. Babbo Natale, nelle sue più primitive incarnazioni occidentali, è un goethiano Re degli Elfi, un molestatore di minori che a volte, vuoi per attirarli, vuoi per fare ammenda, li lusinga con doni e dolci, ma che sostanzialmente incarna il loro più tenebroso incubo. Del resto l’Orco ha sempre due facce, di cui una buona; ed è proprio nella sua ambiguità la sua terribilità.
Non stupisce allora che Babbo Natale, nella lunga storia della chiesa, o delle chiese, sia stato più volte messo al bando, o condannato al supplizio. Già dal Cinquecento nelle comunità protestanti la sua figura fu criticata, processata e condannata. Verso la fine di quel secolo il Natale fu proibito dalla chiesa di Scozia. Negli anni della prima rivoluzione inglese, tra il 1642 e il 1645, il governo di Cromwell gli dichiarò guerra: la festa, con le sue lassità materialiste e le sue risonanze pagane, fu abolita. Il 25 dicembre, dal 1643, i mercanti puritani di Londra tennero aperti i negozi e i parlamentari si presentarono in aula, in segno di disprezzo per l’uso, già radicato, delle vacanze di Natale.
Nel 1952 sui Temps Modernes, la rivista diretta da Sartre, apparve un articolo di Claude Lévi-Strauss, poi ampliato nel libro Le père Noël supplicié. Partendo da un fatto di attualità — l’autodafé del 24 dicembre 1951, in cui Babbo Natale, condannato come eretico dal locale clero, fu messo al rogo in effigie, attorniato dai bambini degli asili cattolici, sul sagrato della cattedrale di Digione — Lévi-Strauss descrive l’onnipresenza antropologica “di un rituale la cui importanza ha molto fluttuato nella storia” e la cui americanizzazione, politicamente flagrante nel dopoguerra nazionalista francese, “è solo il più moderno degli avatar”. Il vischio e l’albero di Natale, anche se attestati nelle fonti solo dal XVII-XVIII secolo, sono residui di culti arborei druidici. Le decorazioni vegetali e luminose delle case provengono, nota Lévi-Strauss, dai Saturnali romani, la prima della gran scia di feste pagane di dicembre. Le renne cui è aggiogata la slitta volante del Père Noël, sostituite al cavallo di Odino, sono del resto un simbolo lunare, legato alla Grande Madre, e dunque a un rituale di transito nell’oltretomba, di cui pure l’ambiguo “Padre” è tenebroso mediatore.
Che cosa ha a che fare con tutto questo il Babbo Natale vestito di rosso — che sia stato o no per iniziativa pubblicitaria della Coca-Cola, tema su cui la filologia dei postmoderni iconografi accanitamente dibatte — che muove la logistica di Amazon, che presidia i centri commerciali e i siti web, che in un solo giorno, in quella battuta di caccia di Odino, in quel sabba merceologico del solstizio di inverno, fa aumentare il Pil, ancorché illusoriamente, inducendo i genitori ad ammucchiare sotto il dio-albero merci acquistate, spesso indebitandosi, in sacrificale e ancestrale immolazione a quelle antiche vittime della brutalità degli adulti, oggi transitori sovrani idoleggiati dall’altrettanto brutale potere del consumismo, che sono i bambini? Ha a che fare moltissimo. L’Orco, l’Uomo Nero che l’altra faccia di Babbo Natale incarna, aleggia come una maledizione sul rituale delle feste natalizie abolite da Cromwell. Ci adesca con i suoi dolci e con le sue seduzioni materiali. Ci rapisce boccheggianti nel sacco enorme di un’illusione di felicita’ non mistica, ma consumistica.