Un viaggio nel tempo a Monastiraki
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La donna guardò il cielo immobile di inizio settembre. Quando vide la parete rocciosa dell'Acropoli abbassò in fretta gli occhi. Prese per mano la bambina e attraversò decisa la rotonda della piazza. Il portiere del Grande Bretagne segui le due figure magre inoltrarsi in una delle strade minori in direzione della Plaka.
Erano giorni che la donna non si alzava dal letto dell'albergo. Ogni tanto abbassava la mascherina dagli occhi, sollevava la cornetta color avorio e ordinava un pasto. La bambina lo consumava da sola, davanti al televisore, la porta chiusa per non disturbarla mentre parlava al telefono con lo psicanalista all'altro capo del mondo.
Percorsero i vicoli sul fianco dell'Acropoli, costeggiarono una chiesa bizantina dalle cupole tonde. Il sole faceva scintillare le monete dei venditori di incensi accucciati per terra. Fecero colazione e poi scesero verso Monastiraki perché la donna voleva mostrare alla bambina il mercato delle pulci.
L'aria odorava di pannocchie arrostite e spazzatura. La donna si era messa a frugare sui banchi, tra mucchi di cartoline stinte e libri scritti in un alfabeto sconosciuto. Si era appuntata in una crocchia i lunghi capelli neri e il viso le si era acceso per la concentrazione proprio come quando batteva sui tasti del computer. La bambina si annoiava. Ogni tanto alzava gli occhi e guardava con desiderio lo spicchio giallastro dell'Acropoli. Quando vide le gemme incise brillare nella minuscola vetrina, la bambina capi che sarebbe riuscita a strappare sua madre ai libri e alle cartoline. Anche la donna portava un anello, che non si sfilava mai se non quando, in una qualunque città del mondo, vedeva un negozio simile. Allora entrava, mostrava l'incisione della pietra al proprietario e lo interrogava ansiosamente. Alla fine lui scuoteva il capo e la donna ringraziava e usciva insieme delusa e trionfante.
La donna scrutò indecisa attraverso il vetro. Non la convinceva l'uomo seduto nella bottega, la pelle scura da zingaro, i capelli legati in un codino. La sua corniola era sicuramente antica, anche se mai nessun antiquario o archeologo che avesse incontrato era riuscito a capire cosa raffigurasse. In quel momento l’uomo vide la gemma al suo mignolo e con uno scatto si precipitò fuori. La donna spiegò, in un greco esitante, che non aveva intenzione di comprare nessun anello. L'uomo rispose che voleva solo esaminare il suo. La bambina si strinse alla donna perché senti in lei un leggero tremore. La bottega era sporca. Non desiderava essere derubata, ma neppure offendere l'uomo che le sorrideva. Mentre lui fon-deva la cera e prendeva il calco, la donna spiegava che nella pietra alcuni vedevano Eros, altri Artemide, altri ancora un cacciatore o un guerriero perché indubitabilmente la sagoma semisvestita reggeva un arco. Ma nessuno era riuscito a capire come mai da quel corpo armonioso scendesse una catena, legata a due globi.
L'uomo, con la lente incastrata nell'occhio, era diventato sbrigativo. Ochi, ochi, diceva, non sono proiettili, non è un’arma. Sigà, diceva, piano, un momento. Poi si voltò esultante, con la lente ancora su un occhio e l'altro come un carbone acceso.
Mila! Mele?, si domandò la donna. Forse l’uomo pensava al giudizio di Paride? dunque la figura era quella di Afrodite? ma perché due mele e non una? Ochi, ochi, faceva l'uomo, mila... capite? Klothò... Ktothòs, gomitolo?, si domandò la donna. Poi tutto le irruppe in mente con chiarezza. Mira, non mila. Cloto, la Moira che col fuso e la conocchia avvolge e svolge il destino di ciascuno. Sì, disse l'uomo, porgendole l'anello. E' Cloto, la Moira, con i suoi due gomitoli in provvisorio equilibrio, la vita già svolta, la vita che si deve svolgere ancora. Ma chi vi ha regalato questo anello?
La donna afferrò l’anello con la corniola e trascinò fuori la bambina, mentre l'uomo dalla soglia la salutava meravigliato. Quando si fermarono a prendere fiato erano così lontane che non riusciva più a orientarsi. Dov'erano le rovine del foro? dov'era l'acropoli? La crocchia nella furia si era sciolta e i lunghi capelli neri le scendevano sulle spalle sudate.
Sorrise a sua figlia per rassicurarla, le disse di scegliere un regalo e con calma perlustrò il banco vicino. Le venne in mente l'uomo, un ebreo come lei, che anticamente era salito fin lassù e aveva reso omaggio all'altare del Dio Sconosciuto. Agnostos, ripetè in greco, sconosciuto. Come la divinità che da tanti anni portava incisa al dito. L'orafo di Monastiraki l'aveva riconosciuta perché gli erano note le divinità antiche come a Paolo di Tarso era noto il nuovo dio.
La bambina aveva trovato una marionetta del teatro d'ombre, il Karaghiozis, grande e sottile, di pergamena dipinta. La donna annuì, poteva comprarla. Forse il dio sconosciuto era quello che Freud e il suo psicanalista chiamavano inconscio. Siamo ombre dipinte, pensò, agitate dai suoi fili. E in quel momento ricordò che anche Freud era rimasto turbato dall'Acropoli.
Il libro che stava rigirando tra le mani era ben rilegato, con incisa in oro sul dorso la scritta SOUVENIRS. L'aveva attratta la cartolina con la statua che spuntava dal taglio. Lesse la prima riga della pagina segnata: "Quando ho visto l'Acropoli, ho avuto la rivelazione del divino". Non era un banale album di souvenir. Semicancellato c'era un nome, RENAN, e sotto le parole D'ENFANCE ET DE JEUNESSE. Continuò a leggere: "Che bel giorno quello in cui tutte le città che hanno preso i frammenti del tuo tempio, Venezia, Parigi. Londra, Copenaghen, formeranno un corteo sacro per riportarteli!".
Il caldo era quasi insopportabile. La donna chiuse il libro e lo pagò insieme alla marionetta, poi, tenendo la bambina per mano, andò verso l'incrocio, fermò un taxi e disse: stìn Akròpoli parakalò. Anche se la bambina non conosceva il greco, come quasi nessuna delle cose che facevano soffrire sua madre, capì che stavano finalmente salendo sull'Acropoli. "È la cosa più bella che si possa vedere al mondo, mamma", sorrise.