Convenerunt in unum
Lo scorso 23 giugno un manipolo di studiosi è convenuto nella città dei Dogi, splendida anche sotto un sole africano, per contendersi la verità (ma “quid est veritas?”) sul quadro più enigmatico dell’arte occidentale: la Flagellazione di Piero della Francesca, esposta nel Palazzo Ducale di Urbino, pur non essendo destinata a questa sede (almeno su questo punto non paiono esserci dubbi). Non si sono rinserrati in una torre d’avorio, ma sono stati gentilmente ospitati dal Centro Tedesco di Studi Veneziani, a Palazzo Barbarigo della Terrazza, per dibattere pubblicamente di fronte a un folto uditorio di appassionati. Titolo dell’incontro: Due verità su un quadro? Recentissime indagini sulla Flagellazione di Cristo di Piero della Francesca, aperto omaggio all’ormai classico saggio di Carlo Ginzburg.
A fare gli onori di casa è stato il direttore del Centro, Uwe Israel che presto ha passato la parola al professor Wolf a cui è stato affidato il ruolo di “gestire” quest’originale certamen intellettuale. Il professore ha voluto subito precisare che il suo ruolo (“il più noioso di tutti”) non sarebbe stato quello di giudice, bensì di arbitro.
Gli avversari in campo erano Silvia Ronchey, bizantinista dell’Università di Siena, e Bernd Roeck, professore di storia moderna e contemporanea all’Università di Zurigo. Ciascuno dei due era spalleggiato da due “alfieri”, selezionati per sostenere la tesi del rispettivo “capitano”. Per la professoressa Ronchey sono scesi in campo (che gli dei del giornalismo chiudano un occhio, pietosi) Peter Schreiner, dell’Università di Colonia e Bert Treffers del Koninklijk Nederlands Instituut di Roma, mentre il prof. Roeck ha potuto fare affidamento sulle dotte osservazioni di Enrico Londei dell’Accademia di Belle Arti di Urbino e di Andreas Tönnesmann, dell’Eidgenössische Technische Hochschule di Zurigo.
I due contendenti hanno brevemente riassunto la propria interpretazione, ricordandone i punti salienti, anche grazie all’ausilio di immagini. La professoressa Ronchey ha esordito domandosi il motivo dell’enigmaticità della tavola e individuando la risposta nella cancellazione (vera e propria damnatio memoriae) del millennio bizantino: undici secoli rimossi dalla memoria collettiva dell’Europa occidentale. Questa rimozione ha finito col rendere incomprensibili gesti, indumenti, fatti storici che invece erano ben presenti all’élite colta a cui appartenevano Piero della Francesca e il committente del quadro.
Qui sotto si può vedere un breve passaggio del suo intervento.
Il professor Roeck invece ha individuato nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine il testo che permetterebbe di svelare l’identità dei personaggi dipinti, tra cui ci sarebbe Federico da Montefeltro nei panni di Pilato (in secondo piano) e di Giuda (in primo piano). Il duca urbinate sarebbe stato raffigurato come traditore perché mandante dell’omicidio del fratellastro Oddantonio, da individuare nel giovane biondo e scalzo.
Nel breve filmato qui sotto, un passaggio del suo intervento.
Il professor Schreiner ha obiettato che il metodo di Roeck è debole: lo studioso di Zurigo prima “arresta” Federico da Montefeltro e poi cerca di dimostrarne la colpevolezza, proprio lo stesso procedimento debole che Roeck critica nel suo saggio (p. 14). È poi un sacrilegio l’analogia tra il martirio di Oddantonio e la passione di Cristo: sono due mondi totalmente imparagonabili.
Per parte sua il professor Tönnesmann si è proposto come avvocato del quadro, non di uno dei due contendenti, osservando che il quadro non ha un centro: un miracolo per un’opera di quest’epoca. Ha inoltre consigliato maggiore cautela nelle interpretazioni ricordando che nessuno di noi ha gli occhi del Quattrocento. Per lui il quadro allude a una storia familiare e non a una vicenda internazionale.
Da storico dell’arte il prof. Treffers ha commentato con un certo sarcasmo di aver udito spesso la parola “metodo”, ma di non aver sentito nulla che facesse pensare a un metodo. Andrebbe riportata in primo piano la flagellazione, la scena teologicamente più importante della tavola. Va inoltre tenuto presente il commento di Sant’Agostino al Salmo 2 che contiene le parole “Convenerunt in unum” e messa in evidenza l’esemplarità della flagellazione. Secondo la sua interpretazione anche i re, persino quelli Bizantini, devono comportarsi bene, accettando la sorte del Cristo. La Flagellazione di Piero sarebbe un manifesto religioso-politico, un messaggio a tutte le persone in qualche modo legate al committente, molto vicino al papa. Il monito morale era rivolto ai principi cristiani che dovevano capire il messaggio che l’opera di Piero promuoveva.
Il prof. Londei ha accennato ai propri studi sulla scena raffigurata nella tavola: sarebbe Urbino che si trasforma in Gerusalemme. È possibile individuare la Piazza Maggiore della città, mentre il palazzo rosa sarebbe il Palazzo del Podestà e il campanile richiamerebbe quello della piccola chiesa romanica di Urbino. Il professore ha fatto notare inoltre la doppia illuminazione, quella della realtà, propria dell’emisfero boreale, e quella della divinità, impossibile per il nostro mondo.
L’incontro è stato molto interessante, ma non è risultato decisivo, come c’era da aspettarsi. L’ultima parola sulla Flagellazione non è stata ancora detta. Chi scrive, del resto, non è neppure convinto – come è stato detto – che basterebbe l’individuazione del committente a chiarire l’enigma (o più correttamente: gli enigmi) dell’opera di Piero. Ma forse è meglio così: la ricerca è sempre più interessante e stimolante dei risultati che consegue.
PS: una fonte amica ci ha informati dell’incruento finale. Se la Tavola (la Flagellazione) ha diviso i contendenti, la tavola li ha ricomposti, trovandoli d’accordo sulla bontà delle granseole, piatto forte della cena.