La Stampa. Origami. Ipazia, l’aritmetica come canone di verità
06/09/2018
Silvia Ronchey
Ipazia, come scrive il suo contemporaneo Filostorgio, «divenne molto migliore» del padre «soprattutto nell’arte dell’osservazione degli astri». Che abbia dispensato ai suoi più selezionati studenti «una dottrina esoterica in margine ai programmi ufficiali», che «l’insegnamento tecnico-astronomico di Ipazia non fosse che un’ingannevole facciata al riparo della quale veniva dispensata una rivelazione esoterica, questa sì veramente originale», è apparso evidente, fra gli altri, anche al maggiore biografo di Sinesio. Ma l’astronomia era, in effetti, più di una facciata. Uno dei «segreti» dell’esoterismo pagano era proprio l’identificazione degli dèi dell’olimpo politeista con i corpi celesti e le costellazioni, e di qui la loro riducibilità a formule matematiche. Il linguaggio universale della matematica e dell’astronomia, praticato per primi, fra gli ellèni, dai pitagorici(e non a caso Ipazia viene spesso definita tale), aveva reso possibile fin da età remote il globalizzarsi di quella che già gli antichi, e poi il moderno esoterismo, chiamano la Tradizione: la circolazione delle stesse dottrine e conoscenze ancestrali, e delle stesse figure astrali (numeriche, «divine»), dal nucleo della mitica sapienza caldea sia verso occidente, in Asia Minore, in Grecia e forse anche più ovest, sia a oriente, fino all’India, nella cui antica mitologia e poesia epica si scompongono e ricompongono, come in un gigantesco caleidoscopio, personaggi divini semidivini dai tratti simili a quelli dei miti greci. A permettere queste spesso sorprendenti consonanze e affinità, talvolta considerate, da mistici antichi come dai moderni, specialmente di estrazione confessionale, «miracolose» e frutto diuna «rivelazione» trascendente sono di fatto la comune osservazione del cielo stellato e la possibilità di comunicazione e circolazione dei suoi risultati mediante il linguaggio quantitativo, invariabile e indifferente alle diversità linguistiche, offerto appunto dalla matematica e dall’astronomia. Nel Discorso sul dono di Sinesio si legge: “L’astronomia è già di per sé una scienza più che degna, ma può servire forse ad ascendere qualcosa di più alto, può essere l’ultima tappa, io credo, verso i misteri della teologia, una tappa a loro consona, poiché il corpo perfetto del cielo ha la materia sotto di sé e il suo moto è stato equiparato dai più alti filosofi all’attività dell’intelletto. Questa scienza procede alle sue dimostrazioni in maniera incontrovertibile e si serve dell’aiuto della geometria e dell’aritmetica, che non ritengo disdicevole chiamare retto canone di verità”. Come provano il contemporaneo fiorire della numerologia giudaica e la persecuzione di Valente contro i mathematici, la natura tecnica dell’insegnamento di Teone e Ipazia non solo non esclude ma avvalora l’interesse per la sfera dell’esoterismo dell’occultismo, che furono praticati in un modo o nell’altro non solo dalla scuola di Proclo e di Damascio o «dall’ultima degenerazione dei Sabi», ma da quasi tutti i neoplatonici. Questi insegnamenti iniziatici del platonismo rimarranno saldati, più o meno clandestinamente, a tutto il pensiero bizantino, da Areta a Psello a Coniata a Gregora, peraltro non incompatibili con i più alti livelli di iniziazione cristiana, per poi trasmettersi, sempre insieme alla filosofia platonica, attraverso la scuola di Giorgio Gemisto Pletone a Mistrà e gli ultimi cervelli bizantini trapiantati in Italia, al nostro rinascimento e alla proto massoneria colta delle accademie platoniche italiane e inglesi, che ne seguì i princìpi e i rituali iniziatici ma ne escluse le donne. L’immaginario ottocentesco, che vide la figura di Ipazia stagliarsi sul tramonto dell’impero nei panni maschili del filosofo razionalista, sorta di Mademoiselle de Maupin alessandrina, incorse dunque in un altro equivoco, perché Ipazia portò se mai panni più simili a quelli di una sacerdotessa. La devozione e l’esaltata venerazione che Sinesio le esprime nell’epistolario, tanto più singolari se rivolte a una coetanea, si spiegano solo supponendo un legame «sacro”, come appunto lo definisce Sinesio, ma in senso proprio; e cioè un legame sacerdotale.