Walter Scott. Un racconto giudiziario tra i mandriani scozzesi | Platone. Nel "Parmenide" il vertice della dialettica | William Blake. Il poeta visionario che apre le porte del paradiso
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Quando Scott pubblicò "I due mandriani", nel 1827, in molti rimasero turbati dalla vile estrazione dei personaggi. Il protagonista del racconto, oggi pubblicato da Sellerio (94 pp., 11 euro) a cura di Valentina Poggi e con una prefazione di Remo Ceserani, è un montanaro scozzese che fa dodici miglia per andare a prendere il suo coltello, uccidere l'uomo che l'ha insultato e consegnarsi alla giustizia. Ma Scott era sicuro del suo lavoro. La moda romantica spingeva i letterati verso i costumi arcaici dei popoli appartati. E poi chi poteva scrivere un racconto giudiziario meglio di lui, che era stato avvocato e cancelliere della Corte Suprema di Edinburgo? In "Waverly", d'altronde, aveva scritto: "Contro il pericolo di avere un'opinione troppo buona degli altri c'è un solo antidoto: averne una ancora migliore di sé stessi".
"Molti ignorano che senza passare attraverso tutte le ipotesi, cioè attraverso un'indagine aperta, è impossibile per chi si imbatte nel vero averne intelligenza", dice Zenone a un Socrate non ancora ventenne verso la metà del "Parmenide": la "più grande opera d'arte dell'antica dialettica", come lo definì Hegel nella Prefazione alla "Fenomenologia dello spirito"; il più enigmatico e misterioso dei dialoghi di Platone, il testo più complesso e indecifrabile del pensiero antico, forse l'opera più controversa dell'intera tradizione occidentale, come scrive Franco Ferrari nel lungo, illuminante saggio su "L'enigma del Parmenide" premesso a quest'edizione pubblicata nei Classici Greci e Latini della Bur (367 pp., 9,50 euro) con la sua traduzione, le sue note e il testo greco a fronte. "Delle forme", è il sottotitolo che gli antichi diedero al dialogo. Perché affronta il problema cruciale della filosofia platonica: il rapporto tra la perfezione del mondo delle idee e la varietà del mondo sensibile. La storia delle sue interpretazioni si sovrappone alla storia stessa della filosofia ed è uno dei suoi più frequentati campi di battaglia.
"C'è un sorriso dell'amore, / e c'è un sorriso dell'inganno, / e c'è un sorriso dei sorrisi / dove si incontrano questi due sorrisi. / E nessun sorriso fu mai sorriso / se non un sorriso, quello solo, / che tra la culla e la tomba / una sola volta si può sorridere; / e quando lo si sia sorriso / ogni miseria ha fine". A tradurre questa celebre poesia di William Blake hanno provato in molti, da Giuseppe Ungaretti a Roberto Sanesi. Ma a nessuno è mai riuscito di rendere i trompe-l'oeil che balenano, le inflessioni che risuonano in questi come peraltro in quasi tutti i turbinosi, blindati versi del più visionario degli intelletti inglesi, scrittore e poeta, pittore e esteta, profeta e utopista. Ci sarà riuscita oggi Rosa Tavelli, che per gli impeccabili tipi di Aragno pubblica, di Blake, un'ampia antologia ("Le porte del paradiso", 292 pp., 14 euro), corredata da una complessa introduzione filosofico-letteraria di Italo Valent? Ai lettori la sentenza.