E la divina Madre Illibata salvò Costantinopoli dai satrapi di Cosroe
TTL - Cl@assici | Per tutta la notte, in segno di ringraziamento, i fedeli cantarono le strofe che il patriarca Sergio via via improvvisava in trance: Raggio del Giorno Mistico, Scala Sovraceleste...
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Nell’agosto del 626, durante l’assenza dell’imperatore Eraclio, la sacra città di Costantinopoli fu aggredita a tradimento dai sàtrapi di Cosroe, il re dei re, con le loro navi ricurve e le feroci milizie mercenarie àvare e bulgare. Gli abitanti della culla della cristianità, senza il loro imperatore, erano come neonati lasciati dal padre. Il patriarca Sergio li radunò. La voce baritonale dell’uomo dalla lunga barba chiamò la madre. E le voci dei presbiteri e dei diaconi anche loro invocarono: “Madre”. E così tutti i fedeli implorarono: “Madre”.
Un’improvvisa tempesta sollevò le acque del Corno d’Oro e imbiancò le sponde del Bosforo, e l’istmo sottile fra l’Europa e l’Asia si agitò e contorse e divincolò come un serpente dalla bava schiumosa che volava nell’aria. Le navi nemiche si rovesciarono come gusci di noci, mentre a terra i pochi soldati della Guardia, gridando il nome della Madre Divina, ricacciarono indietro nel vento gli invasori.
Il sole tramontava purpureo sulle rovine d’oro insanguinate quando il patriarca Sergio, gli officianti e i fedeli scorsero tra gli edifici rasi al suolo solo una piccola chiesa intatta, in una località chiamata Blacherne. Era dedicata alla Madre Illibata, riprova che era stata proprio lei, la Sposa non Sposa, l’Inesperta di Nozze, a chinarsi sulla loro culla. La Grande Madre, la Stratega Invincibile, l’aveva salvata.
Per tutta la notte rimasero in piedi, accalcati sotto la piccola cupola e nel recinto intorno. Senza mai fermarsi cantarono sotto le stelle che incorniciavano il volto immacolato della luna le strofe che il patriarca Sergio, sotto il copricapo velato, improvvisava in trance.
Erano ventiquattro. La frase iniziale di ognuna era ermetica. Ma lo schema del canto si costruiva secondo un preciso rapporto numerico e conduceva a una disposizione quadrata. Poiché da sempre la Madre Divina ha la fronte cinta da dodici stelle, in ognuna delle dodici strofe dispari vi era un’acclamazione diversa. Altezza Inaccessibile, Profondità Imperscrutabile, Scala Sovraceleste, Ponte di Transito. Le linee melodiche si inarcavano puntuali e armoniose e le immagini si accavallavano come le onde della risacca che udivano lontano, placata la tempesta, sulle sponde dell’Asia. Raggio del Giorno Mistico, Luce degli Iniziati, Cifra della Grazia, Colonna di Fuoco nella tenebra, Tenda che ombreggia l’universo come grandissima nuvola.
Allo spuntare della stella mattutina le acclamazioni furono centoquarantaquattro. Tante erano le facce della Donna Celeste, e ogni acclamazione ne evocava un aspetto, una forma, un’energia. Tronco dalle enormi foglie, Pianta che non secca, Frutto che non marcisce, Coltivatrice di chi ci coltiva.
Ogni visione era sfaccettata da fasci di assonanze e omoteleuti e chiasmi ordinati e giochi di parole che si intrecciavano in un diadema arabescato di simboli misteriosi. Sede dell’Infinito, Porta del Mistero, Conciliatrice dei Contrari, Amore che vince ogni desiderio.
La voce ancestrale e profonda che dettava l’ordine imperscrutabile del canto risuonava nella gola del patriarca Sergio come i versi ordinati e indecifrabili degli uccelli in una caverna marina. L’acrostico alfabetico che incatenò l’una all’altra le strofe sigillò quell’arca di suoni, la rese inviolabile come uno scrigno d’oro destinato a traversare il mare dei secoli.
Ancora oggi, nella veglia dell’Assunta sotto la luna d’agosto, in piedi davanti all’iconòstasi ogni ortodosso canta l’Inno Acatisto per la Madre dell’Astro che non tramonta. Ogni giorno, in piedi nei loro monasteri, uomini soli invocano così la Madre lontana.
IL LIBRO
Ave Sposa Illibata. L’Inno Akàthistos alla Madre di Dio nella versione di Rosa Calzecchi Onesti, testo greco a fronte, nota iconografica di G. Pellegrini, Guaraldi, 61 pp., 25 euro