Il poeta che credeva nell'armonia degli astri
TTL - Cl@assici | Conoscere Manlio, interprete, nell'antica Roma, del linguaggio cosmico
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Manilio Marco fu il traduttore e l'interprete, nell'antica Roma, del linguaggio cosmico. Era un poeta, uno scienziato, un astrologo, un filosofo stoico. Visse sotto Augusto e Tiberio. Lesse e ammirò il De rerum natura di Lucrezio, ma ne ribaltò la visione del mondo come si scompone e ricompone l'immagine in un caleidoscopio: ruotandolo, con una gentile scossa.
Secondo Manilio l'universo è governato non dal caso né dall'incontro fortuito degli atomi, come riteneva Lucrezio, ma da una ragione necessaria. Gli eventi terrestri sono solo apparentemente mutevoli, la vita umana solo apparentemente incerta. Tutto in realtà scorre in circolo nella legge dell'eterno ritorno, tutto si tiene nell'ineluttabile dogma della cohaerentia cosmica. Secondo Manilio, la regolarità dei moti degli astri lo dimostra e legittima la possibilità di predizione.
Manilio compose gli Astronomica, un poema in esametri marmorei, incisi in un lunghissimo fregio dove i segni celesti sono l'alfabeto sapienziale di una tradizione in cui la religio si identifica con la scienza. Nelle narrazioni del mito, nelle ascensioni al cielo dei semidei e degli eroi che danno il nome alle costellazioni, sono espresse e trasmesse in un linguaggio universale le più alte nozioni filosofiche e matematiche.
Secondo Manilio il macrocosmo vive nella discordia concors delle sue singole parti. Da pori misteriosi dio tutto respira e governa con disegni segreti, e dispensa reciproci patti fra ciascuna parte dell'insieme, così che ognuna produca le energie dell'altra e permanga inestricabile la parentela di tutto con tutto.
Manilio tessé gli eventi del cosmo in uno scintillante tappeto dai disegni ripetitivi come la danza dei segni nel cielo stellato e come la geometria dei circoli che lo attraversano: paralleli, meridiani, orizzonte, zodiaco, Via Lattea; le Orse, che dalla cima del cosmo contemplano verso il basso tutto il firmamento; il loro guardiano Boote, che trascina con sé sotto il petto Arturo; la Lira, con la quale Orfeo ruppe cantando le leggi dell'inferno; Andromeda, che Pérseo armato liberò e strinse; Orione, il capo immerso nella sublimità del cielo. Secondo Manilio le costellazioni che rilucono ovunque in serie ordinate tessono il cielo in percorsi armonici, ripartendolo con i loro fuochi in variegati disegni.
Secondo Manilio uno stretto legame unisce il cielo all'uomo, ma non è l'uomo che scopre i segreti del mondo che lo circonda, è l'universo che asseconda colui che lo contempla con sguardo intenso. E' il cosmo che desidera espandersi e far conoscere i suoi eterei abissi, è la natura che spontaneamente si dischiude degnandosi di sollecitare le regali menti dei saggi.
Secondo Manilio, nessuno potrebbe conoscere le cose celesti se non per concessione celeste, nessuno potrebbe giungere alla scoperta di dio se non colui che è parte del divino. Secondo Manilio indagando l'universo l'uomo guarda sé stesso. A lui solo la natura ha dato funzioni di livello superiore e lingua e intelligenza innata e mente agile. Solo in lui dio è sceso e abita e cerca se stesso.
IL LIBRO
Manilio, Il poema degli astri (Astronomica), a cura di Simonetta Feraboli, Enrico Flores e Riccardo Scarcia, Mondadori - Fondazione Lorenzo Valla, vol. I, 384 pp., £ 48.000, vol. II, 566 pp., £ 48.000.