Silvia Ronchey

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Attualità e rubriche

Hölderlin, il destino di urlare e colpire con la poesia

TTL - Cl@assici | Compagno di studi di Hegel e Schelling. Fra i pochi sani di mente in un mondo di pazzi, la Germania romantica

18/08/2001 Silvia Ronchey

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La Stampa

Friedirich Hòelderlin fu un giovane borghese deità provincia sveva delia fine dei Settecento. Da bambino comprendeva ii silenzio dell'etere, le parole degli uomini non le comprese mai. Il suo vero nome fu Scardanelli. La sua vera patria, la Grecia. Fu uno dei pochi sani di mente in un mondo di pazzi, la Germania roman­tica. Era compagno di studi e di stanza di Hegel e Scheiling. Insieme studiavano Kant. Il 14 Luglio 1793 innalzarono insieme, in un prato vicino a Tubinga, un albero delia libertà in ricordo deiia presa deiia Bastiglia. In seguito e per il resto delia sua vita amò Susette Gontard. Il cui vero nome era Diotima. Hòlderlin fu un poeta, un filosofò, un teologo, un precettore fallito, un professore mancato di letteratura greca. Tradusse Sofocle e Pindaro. Soffri di ma! di testa nervosi, di coliche biliari, di ipocondria e di quella che venne considerata una dissociazione del linguaggio insedia­ta su una persistente malinconia depressiva.
In realtà. Hòlderlin voleva espri­mere l'indicibile. Riteneva che il poeta fosse chiamato a rivelare agli altri esseri umani il segreto della catena aurea che stringe la natura, l'uomo e gli dèi nel legame dell'amo­re. Ma Hòiderlin dubitava della possibilità di tradurre in parole la lingua cifrata dell'universo. Secon­do Hòiderlin la poesia è sempre tragedia, perché cerca di fissare in una forma il divenire nel momento della sua dissoluzione. Secondo Hòlderlin la poesia tenta di fissare le cose nell'attimo tra essere e non essere e permette così di vedere il divenire. Secondo Hòiderlin la poe­sia è dissoluzione e palingenesi. Il mito fondatore della poesia è quello della nascita di Dioniso, nato dalla distruzione della madre. Per questo la poesia è dominata dal non detto. Noi umani abbiamo perduto il lin­guaggio in una terra straniera, sia­mo un segno ininterpretato.
Hòlderlin fu internato nella clini­ca per malattie di mente del profes­sor J.H. Ferdinand Autenrieth. Ven­ne sottoposto a terapie calmanti a base di digitale e belladonna, e gli furono imposte la camicia di forza per non colpire e la maschera faccia­le per non urlare. Ma nessuno potè impedirgli di urlare e colpire con la poesia. Secondo Hòlderlin il poeta è l'unico filosofo e come Platone par­la per miti. Secondo Hòlderlin gli umani vivono sull'orlo di un vulca­no e cercare la vita è un desiderio orrendo che fa precipitare il sapien­te nelle sue fiamme come Empedo­cle nella bocca dell'Etna. Ma, secon­do Hòiderlin, dove c'è il pericolo cresce anche ciò che salva. A Hòlderlin piacquero Pindaro, la Bibbia, Platone, Schiller, Fichte, Hamann, Rousseau. Novalis, Herder, Parigi, Patmos, Rembrandt, Rubens, Kant, Spinoza, Leibniz, Salomone, Euripi­de.
Alla morte di Diotima i suoi versi divennero sempre più ermetici e i furori sempre più violenti. Si disse che quello strumento accordato in modo troppo sensibile fosse distrut­to per sempre. I medici lo dichiara­rono incurabile. Fu affidato come Cristo alle cure di un falegname. Fu così che approdò a Patmos, una grotta scura, ospitale, anche se nu­da, per un veggente amato da Dio. Il falegname lo alloggiò in una piccola torre annessa alla sua casupola in riva al Neckar. Molte strade senza ombra scrosciavano alle porte dell’Asia. Hòlderlin passò sulla torre il resto di una lunga vita suonando per giorni e notti il pianoforte e ritenendo di vivere nel sedicesimo o nel diciassettesimo secolo. "Poiché tutto è bene. Con questo morì". La Musa di Hòlderlin fu una Musa seria.

 

Il Libro: Friedrich Hótdertin. Poesie, a cura di Luca Crescenzi. BUR, pp.555, L.25.000      


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