L'avvocato africano che indicava la vai dell'immortalità
TTL - Cl@assici
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Marziano Capella visse quando calarono i Vandali, tra il sacco di Roma del 410 e il sacco di Cartagine del 439, nell'età della cosiddetta Decadenza, che fu in realtà la prima Rinascenza. Era un avvocato africano che amava la filosofia platonica, pitagorica e stoica, praticava l'astrologia, l'aritmologia e la divinazione, inseguiva una scrittura ardua, aspra, sperimentale, ardita.
Secondo Marziano Capella gli uomini hanno un'anima di fuoco che proviene dal cielo e deve tornarvi ascendendo attraverso gli astri e le sfere dei pianeti, dove hanno anche sede gli dèi, che sono dèmoni antropomorfi e insieme concetti filosofici e costellazioni dello zodiaco. Secondo Marziano Capella esiste un Senato Celeste che un tempo ha decretato siano assunti nel novero degli dèi i mortali che l'insigne elevatezza di vita e il sommo culmine dei grandi meriti avessero elevato al desiderio del cielo e al proposito di tendere alle stelle.
Secondo Marziano Capella, nella loro tensione verso l'immortalità gli uomini possono essere aiutati o impediti dal destino. Hanno ad assisterli uno spirito custode, a ostacolarli geni maligni. Per intravedere almeno in parte il loro Daimon, gli uomini devono accattivarlo con ogni pratica devozionale, non importa di quale religione o disciplina: le iniziazioni delle scuole misteriche, i sacrifici rituali, le cerimonie in templi, greci o romani, tirreni o asiatici, egizi o libici, persiani o fenici.
Secondo Marziano Capella, gli uomini possono indovinare in vari modi la direzione delle loro vite: interrogando i sogni notturni o investigando le viscere degli animali, ascoltando il proprio cuore o i sensitivi ispirati dalla Pizia, scrutando il volo degli uccelli o interpretando i fulmini e i tuoni, leggendo le geometrie degli astri o decrittando le valenze mistiche dei numeri della cabala pagana.
Tuttavia, secondo Marziano Capella, per tornare all'immortalità ignea degli astri e riassorbirsi nella divina inconoscibile essenza dalla quale tutti gli esseri giungono all'esistenza, gli uomini devono soprattutto applicarsi alla Religione della Cultura e cioè perseguire la sapienza, che è il loro principale imperativo etico. Per farlo devono esercitarsi a studiare sette arti: la grammatica, la dialettica, la retorica; la geometria, l'aritmetica, l'astronomia, la musica.
Secondo Marziano Capella la tensione della ragione umana verso la conoscenza dei misteri della natura, oppure della psiche individuale verso il Nous o Pensiero Assoluto, oppure dell'anima mortale verso il divino, può immaginarsi come una fiaba o un'allegoria: la narrò, da vecchio, a suo figlio, in forma di satira, mescolando prosa e versi, e la intitolò Le Nozze di Filologia e Mercurio. Lo sposo è il custode del mistero ermetico, il principe dell'alchimia, il signore della comunicazione tra i mondi e le dimensioni dell'essere, colui che guida le anime dei morti alla beatitudine. La sposa è l'amore per il Logos, ha avuto nascita terrena ma intento di tendere alle stelle, rappresenta il sapere conseguibile dalla ragione e la parte di noi che aspira all'espressione.
A Marziano Capella piacquero Zenone, Platone, Varrone, Cicerone, Petronio, Apuleio. Piacque a Severino Boezio, a Giovanni Scoto Eriugena, a Dante, a Petrarca, a Copernico.
IL LIBRO
Marziano Capella, Le nozze di Filologia e Mercurio, a c. di Ilaria Ramelli, Bompiani, 1177 pp., £ 64.000