Silvia Ronchey

Benvenuti nel mio sito personale
  • Home
  • Articoli
  • Press & Media
  • Libri
  • Recensioni
  • Accademia
  • Ritratti
  • Agenda
  • Bio

Articoli

  • Noi e gli antichi
  • Noi e Bisanzio
  • James Hillman
  • Religione, teologia, mistica
  • Interviste
  • Attualità e rubriche
Attualità e rubriche

Sinesio, o dell'intelligenza

Lettere da Bisanzio

29/10/1998 Silvia Ronchey

Articolo disponibile in PDF

Scarica il pdf (10446 Kbs)

Avvenire

Le mie parole aguzze come frecce parlano solamente a chi ca­pisce, ai synetòi ha scritto Pin­daro nella II Olimpica. Deriva da synesis, intelligenza, il nome del bizantino Sinesio, futuro ve­scovadi Cirene ma tollerante di tutte le chiese e «iniziato a tutti i misteri». Un nomen omen: scrisse lettere lucidissime, in cui all’inizio del V secolo traspose nevrosi e pensieri, piaceri interiori e disgrazie pubbliche di un letterato aristocratico per na­scita, ma soprattutto per intelletto, alla vigilia della caduta dell'impero d'Occidente. In quell’epistolario Sinesio colse fran­genti e aspirazioni rimasti poi nell'esistenza quotidiana di let­terati e dotti ben oltre la disso­luzione della classicità, fino al 700, all’800, al tardo romanticismo, alla soglia del mondo con­temporaneo: fu un dandy ante litteram, un decadente della Decadenza prima e più vera, quella della Fine del Mondo Antico.
Gentiluomo appassionato e di filosofia e di caccia, a rinunciare alla dignità di vescovo nella giovane chiesa cristiana lo indurrebbe non tanto una pre­clusione religiosa (il tardo pa­ganesimo neoplatonico è tollerante, aggiunge anziché sot­trarre) quanto il timore di un’incompatibilità vuoi con la pratica speculativa, vuoi con quella di cavalli, segugi e arco. Allo status di conferenziere o di cattedratico contrappone «la li­bertà della vita di campagna, la facoltà di comporre testi (Iogoi)non misurati dalla clessi­dra ma dallo scorrere del tor­rente al di là dai miei cipressi». Per non farsi «schiavo di norme» non ha voluto avere studenti, «né due né tre»: «Avrei dovuto a causa loro andare sempre nel­lo stesso posto, avrei dovuto parlare loro di argomenti pre­stabiliti».
Si sentirebbe «ancora più sminuito nella libertà personale» se do­vesse «analizzare un libro fino alla minuzia». La prassi filolo­gica «fa, sì, fortificare la me­moria, ma lascia senza eserci­zio, appannata e inerte la fa­coltà critica, che deve essere invece giudice dei libri». Nella critica letteraria «è il filosofo ad a­gire più che il filo­logo». Quanto alla competizione uni­versitaria, poi, è la più dannosa per la personalità intellettuale: perché la gelosia accademi­ca, «la più grande e materiale delle passioni», fa sì che nello sforzo di prevalere sui colle­ghi lo studioso accentui i tratti del proprio pensiero fino a dog­matizzarli: «Chi potrebbe, al­lora, finire peggio di un uomo al quale non è più lecito diveni­re migliore?».
Invece, occuparsi di libri in modo filosofico, e cioè disinte­ressato, lucido e ampio, «spinge sempre la nostra personalità intellettuale dalla potenza all’at­to» e dunque a migliorarsi. In una Cirenaica sconvolta dalle grandi migrazioni dei nomadi del deserto, dai rabbiosi rivol­gimenti sociali, da rivolte reli­giose come quella in cui morì linciata dai monaci del vescovo Cirillo la filosofa Ipazia, sua maestra, Sinesio «scrive solo per sé» e colleziona classici «Come potresti impiegare meglio i be­ni di tuo padre? I miei campi li ho visti diminuire, molti dei miei schiavi sono divenuti miei concittadini, denaro non ne ho, né sotto forma di gioielli né in monete. Tutto quando possede­vo l’ho speso per l’indispensa­bile: i libri».
Altro gravissimo rischio sa­rebbe farsi filosofo di professio­ne, perché questi filosofi, pur di­venendo magari personaggi pubblici, non sanno mai scri­vere in prosa: «Potresti vedere più facilmente il loro cuore nelle viscere che non il suo conte­nuto, tanto incapace è la loro lingua di esprimere il pensiero», scrive nel Dione, il manifesto estetico di Bisanzio, il miglior te­sto di tutta la sua letteratura, come confidava agli allievi il grande bizantinista ex-bene­dettino Hans-Georg Beck. Pec­cato antitetico e parallelo all’o­scurità dei technìtai è la reti­cenza dei mistici: la capacità di rivelare è concessa solo a pochi carismatici; e nell’elenco di questi «santi» del sincretismo tardo antico Sinesio affianca Ermete Trismegisto, Zoroastro e Ammone all’eremita Antonio di Tebaide.


  • Home
  • Articoli
  • Press & Media
  • Libri
  • Recensioni
  • Accademia
  • Ritratti
  • Agenda
  • Bio


© 2025 Silvia Ronchey, riproduzione vietata.

Facebbok