Silvia Ronchey

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Attualità e rubriche

Le ricadute di fine secolo

Lettere da Bisanzio

08/04/1999 Silvia Ronchey

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Avvenire

Secondo Nietzsche, la deca­denza è «lo stato sociale o psi­cologico che risulta dalla per­dita delle capacità spontanee di autoregolazione, collettive o individuali». Nel Crepu­scolo degli idoli, Nietzsche scrive che per l'individuo questa perdita si traduce nello «scegliere istintivamente ciò che è nocivo, nel lasciarsi se­durre da motivazioni non fi­nalizzate: ecco pressappoco enunciata la definizione di decadenza». E ancora: «Es­sere costretto a lottare contro i propri istinti, ecco la for­mula della decadenza» (ibi­dem, «Il problema di Socra­te»),
Alla voce Dècadent, l’ulti­ma edizione del Grand Larousse Encyclopèdique scri­ve: «Si dice di scrittori della fine del XIX secolo, che han­no avuto in comune il rifiuto del conformismo e la ricerca di un’estetica raffinata quan­to risolutamente marginale». Verlaine, nella poesia Langueur della raccolta Jadis et Naguère scriveva: «Je suis l’empire à la fin de la Décadence». Era il 1884, lo stesso anno in cui Joris-Karl Huysmans pubblicò A rébours («A ritroso», «Controcorren­te»), la bibbia del decadente (anche se Anatole Baju si at­tribuì la paternità della pa­rola fondando due anni dopo una rivista dalla vita breve, Le Décadent, 1886-1889; e anche se Verlaine scrisse: «J’ai mal au dent / d’etre dèca­dent). Eredi dei naturalisti, precursori dei simbolisti, con i quali più o meno si fonde­ranno, o confon­deranno, i deca­denti «preferisco­no al reale l’artifi­ciale e all’idea la parola; soprattut­to se si tratta di una parola nuo­va». Proprio  come gli Scholars of Byzantium, i Filolo­gi bizantini ai quali è dedi­cato il libro di Nigel Wilson (curato in Italia da Marcello Gigante), grandi intellettua­li, enciclopedisti, grammati­ci e retori della Decadenza prima e più vera, quella che si snodò dal III secolo in poi dell’era cristiana e lungo tut­to il millennio di Bisanzio, in una serie, per la verità, di Rinascenze.
Alla fine dell’800, lettori e scrittori sentiva­no vacillare le grandi cattedrali del pensiero. Ri­saliva ad alcuni decenni prima raffermarsi del pessimismo filosofico e l’affiorare dell’esistenziali­smo di Kierkegaard, fi decli­no dell’Occidente davanti al prorompere dell’Asia era sta­to presentito da filosofi e scrit­tori. Trionfava il pensiero di Schopenhauer. Nietzsche fa­ceva dell’oriente mitico la fon­te di un nuovo vitalismo ir­razionalista. E tuttavia, se Verlaine scriveva: «Io sono l’impero alla fine della De­cadenza; gli uomini della fi­ne dell’800 avevano meno mo­tivi di noi per considerarsi de­cadenti.
Si era ancora, allora, nel­la Belle Epoque. Era salda la fede nella scienza. Il positivi­smo imperava e alimentava il mito materiale del pro­gresso. Dal materialismo sto­rico prendeva vita proprio in quegli anni la grande visio­ne marxista, che avrebbe do­minato il 900.
Oggi, anche queste ideolo­gie sono cadute. La logica scientifica ha intrapreso il suo revisionismo. I progressi materiali della scienza han­no causato le principali in­quietudini della fine del 900: la bomba atomica, l’esplo­sione demografica, il dan­neggiamento forse irreversi­bile dell’ecosistema, la mas­sificazione e trasformazione, attraverso i media, dell’ar­chivio delle conoscenze tra­dizionali. La caduta del mu­ro di Berlino e lo sbriciolarsi dell’impero sovietico hanno segnato il crollo del comuni­smo e la crisi forse definitiva in Occidente, del marxismo.
«Le fine-secolo - diceva Huysmans – si assomigliano. Tutte vacillano e sono torbi­de». Se le certezze della fine dell’800 vacillavano, lenostre sono definitivamente crolla­te. A quell’epoca ci si diceva decadenti. Noi, oggi, potrem­mo forse dirci decaduti.


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