Silvia Ronchey

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Attualità e rubriche

Dagli hippies a sant'Antonio

Lettere da Bisanzio

19/11/1998 Silvia Ronchey

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Avvenire

Il Glossarium mediae et infimae latinitatis di Du Cange troneggia su un antico leggio da cappella, accanto a una sontuosa dalmatica fiorenti­na e a due ostensori bizantini, sotto la finestra dai vetri pic­chiettati d’oro della bibliote­ca di Des Esseintes, il protagonista di A ritro­so di Huysmans. Nei confronti della lettera­tura antica il padrone di casa ha operato una censura esigente: ha eliminato Virgilio, i cui esametri suonano al suo orecchio come latta vuota, e anche quelle che considera le evidenti volgarità di Ovidio, le grazie elefantesche di Orazio, gli adiposi periodi di Cicerone, l’aridità da caporal maggiore di Cesare: insomma, l’intera classicità. Il suo gusto libertino e scettico si appassiona invece allo stile dei Padri della Chiesa, che si rivela pieno di anfibologie, scoppiettante di antitesi gremito di giochi di parole, screziato di vocaboli attinti alla lingua del di­ritto, Le scansie che rivestono le pareti blu e arancio dello studio, sul pavimento tappezzato di pelli di belva, sorreggono l'edizione aldina di Tertulliano, i volumi della Patrologia del Mìgne, Girolamo, il traduttore della Vulgata, e Agostino, che nelle Confessioni ha cantato il fastidio del mondo e che nella Città di Dio ha cullato, scrive Huysmans, la paurosa angoscia del tempo.
Lo spirito del tempo, dal deca­dentismo in poi, è intriso dei Padri. Girolamo era già prediletto da Larbaud, Bernardo da Valéry, Agosti­no da Proust, Antonio da Baude­laire e da Flaubert. Gregorio Ma­gno è l’Eletto di Thomas Mann. L’angelologia dello Pseudo-Dionigi è rifusa nella poesia tedesca, fino a Rilke. Del­le vertiginose architetture teologiche si è ali­mentata la letteratura fantastica, sino a Borges. L’hippismo americano degli anni ’60 si è ispirato ai Padri del Deserto, riscoperti e pub­blicati da Thomas Merton nell’epoca dei pri­mi esperimenti nucleari e Antonioni dopo Zabrinskie Point si misurava con l'immensa parete della Biblioteca Vaticana ricoperta dal Migne. Da Jünger a Ceronetti gli apocalittici hanno allineato i volu­mi di patristica nei loro eremi, che replicano lo Studiolo di Girolamo di Dùrer. L’amore estetico per i Pa­dri si è allargato al grande pubbli­co da quando, e non è un caso ma una scelta epocale, la Fondazione Valla ha incluso a pari grado accanto a Aristotele e Pindaro Basilio e Girolamo, Origene e Atanasio, Agostino e Giovanni Scoto. La fine dell'ottimismo progressista e ogni riflessione che vada «a ritroso» rispetto alla fe­de mite magnifiche sorti dell’umanità si nutre del ritorno al pessimismo patristico sulla na­tura umana, sulla prevalenza del male nel mondo, sull’illusorietà del progresso, sull’irriscattabilità della storia. I filosofi della storia tornano al De civitate dei, deposti Hegel e Marx. Pacomio e Girolamo, Evagrio Pontico e Giovanni Crisostomo, accanto a Hans-Urs von Balthasar o a Nikolaj Berdjaev, sono l’autorità cui si richiamano, nella loro reazione all’ottimismo eccle­siastico postconciliare, i nuo­vi monaci del deserto del Novecento: magari di quello «montano e boschivo» di Bose, come lo chiama Enzo Bianchi nel suo ultimo libro ap­pena uscito da Piemme, Altrimenti.  Contrapponendo l’habitare secum della tradizione monastica e patristica all’alienazione mediatica e televisiva, Bianchi cita Pla­tone e Agostino insieme a Karl Popper e a Bill Gates. In polemica con il camaleontismo ba­nalizzante dei concerti rock «cristianizzati», impensierito dagli eccessi materialistici del tu­rismo religioso, Bianchi cita la lettera del di­silluso Girolamo a Paolino da Nola: «Del luo­go della croce e della resurrezione trae profit­to solo colui che porta ogni giorno la propria croce», insieme ai distici alessandrini del grande mistico tedesco Angelo Silesio: «0 cristiano, dove corri? Il cielo è in te. Perché dunque lo cerchi a un’altra porta?» (Il pel­legrino cherubico, I,298).


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