"Ratzinger non tornerà indietro"
Bose, Enzo Bianchi guida il convegno su liturgia e architettura
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Il battistero è un simbolo potente, nel linguaggio dell’architettura religiosa e della liturgia. Se pensiamo ai battisteri medievali, come quelli di Pisa o di Parma, li vediamo al centro della piazza, a mostrare come la Chiesa debba uscire dal proprio luogo per incontrare il mondo. Perché “il battistero è l’edificio della soglia ecclesiale, narra il rapporto tra chiesa e mondo”, spiega Enzo Bianchi alla vigilia dell’apertura, stamattina, del V Convegno Liturgico Internazionale, promosso dal Monastero di Bose in collaborazione con la Conferenza Episcopale Italiana e dedicato appunto all’architettura del battistero e alla liturgia battesimale. Un convegno che come sempre a Bose ha una chiave scientifica, riunendo i massimi studiosi delle discipline coinvolte, l’architettura sacra e la liturgia; una chiave ecumenica, nel confronto tra i rappresentanti di più chiese (i delegati anglicani e quelli ortodossi del patriarcato di Costantinopoli e di quello di Mosca); e una chiave attualizzante di riflessione teorica e politica sul presente.
L’architettura religiosa è metafora della posizione della chiesa nel mondo, la liturgia solleva il problema del linguaggio “politico” della chiesa, del suo modo di parlare alla collettività. Il dialogo fra le due indica “lo stile con cui la chiesa deve stare nel mondo” e punta il dito sull’eterno dilemma tra “l’obbligo di comparire e la tentazione di sparire”, sul rischio che le due posizioni si massimalizzino, e sulla necessità, invece, che la chiesa trovi il suo ruolo proprio nella tensione dialettica tra i richiami contrapposti e contraddittori già nel Vangelo.
A Bose il discorso scientifico e la riflessione teologica si trasformano così in analisi critica dell’oggi, nella prospettiva di un Motu Proprio di Benedetto XVI che autorizzi il ritorno alla ritualità antecedente il concilio Vaticano II. “Ratzinger non lo farà”, taglia corto Enzo Bianchi. “Non ci sarà la ferita alla riforma liturgica. C’è solo una minoranza un po’ nostalgica”. In realtà, spiega, quanto proposto dal Concilio non è stato ancora applicato. “Il Concilio attende ancora un’architettura religiosa che applichi il suo modello”, che ha tardato a formarsi, contrariamente, ad esempio, a quant’era accaduto dopo il Concilio di Trento, quando una specifica architettura “tridentina” si era subito diffusa.
Nonostante la coincidenza cronologica, non dobbiamo ascrivere ai principi del Vaticano II le brutture della moderna architettura ecclesiastica, che della riforma liturgica sono nel migliore dei casi “applicazioni semplicistiche e ingenue”. Nella maggioranza esprimono, invece, altre istanze, altri fermenti di quegli anni: “Molta della deludente architettura ecclesiastica novecentesca”, chiarisce Bianchi, “è più debitrice, se mai, di idee sociologiche, imperniate sul concetto di chiesa come assemblea. Ma l’’ecclesia’ cristiana non è come le altre assemblee della terra, perché ha un orizzonte escatologico. E allora l’unico modo di innovare è rinnovando il soffio, l’anima, che è data dalle fonti: tornare alla tradizione”. E per tradizione non deve intendersi quella dei secoli più recenti della chiesa, anzi. “Oggi più che mai”, chiarisce il priore di Bose, “è necessario lasciare il sicuro porto tridentino e prendere il largo vincendo ogni paura e resistenza”. Se lo spazio liturgico non è stato mai veramente ripensato, se le sperimentazioni cui abbiamo assistito sono sempre state provvisorie e dilettantesche, ciò dipende dal fatto che non abbiamo saputo guardare, per procedere avanti, abbastanza indietro: guardare alla tradizione del primo millennio cristiano, quella cui ci riporta lo studio delle fonti teologiche e patristiche”.
A Bose si alza la voce del clero più colto e più consapevole dell’antichità, multiformità, profondità della storia della chiesa. “Nel viaggio della barca della chiesa nella storia nessun porto deve diventare rifugio o meta definitiva, ma soltanto luogo di passaggio e transito.” Non solo è lecito ma “necessario, nelle varie epoche, coniugare il semper con l’hodie”, ed è inevitabile “che ogni epoca storica crei delle consuetudini proprie e inedite, ovviando prassi capaci al tempo stesso di custodire la grande tradizione e di rispondere alle esigenze e alle sfide dell’oggi”. E’ necessario interpretare la “verità” delle regole alla luce della storia, e dell’interpretazione storica delle consuetudini. Senza per questo essere accusati di relativismo.