Silvia Ronchey

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Religione, teologia, mistica

Fra Buddha e tantra, torna a soffiare il vento dell'Est

Cominciò Schopenhauer. Poi la voga si diffuse con gli hippy. Ora arrivano le edizioni critiche. Tra emozione e carnalità.

01/07/1999 Silvia Ronchey

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Panorama

Da qualche tempo, come l'ultima apparizione di un fiume carsico, una spiritualità occidentale alter­nativa riemerge dall'Oriente. Era affio­rata già nell'hippismo degli anni 60 e 70, che attingeva alle correnti spirituali del Novecento eretico, di Hermann Hesse e Carlos Castaneda, di David H. Lawren­ce e Aldous Huxley: un movimento che contestava il materialismo occidentale, sperimentava conoscenze non più sol­tanto logico-razionali, precorreva quel processo di distruzione di un ego bloc­cato e statico che James Hillman ha chiamato «la caduta dell'Impero roma­no dell'Io».
Oggi, dopo il riflusso degli anni 80, quella corrente riemerge all'interno del diseguale fenomeno planetario deno­minato New age. La globalizzazione re­ligiosa fornisce iniziazioni buddiste die­tro casa. Nei nostri medioevali paesag­gi sorgono templi tibetani perfetti, co­me sul monte Amiata, quello di Meregar: dove, nel recente raduno per la lu­na piena di maggio, un'élite di sincretisti, tra cui Guido Ceronetti, sgranava ro sari indiani di bacche.
Sul versante editoriale l'ondata orien­tale ha portato a una riscoperta della più antica e alta letteratura mistica: taoista e islamica, induista e buddista. Dall’e­dizione integrale della Via in cammino, il Taoteking di Lao Tse, con trascrizione fonetica e testo cinese a fronte, a cura di Luciano Parinetto (Rusconi), a quella mi­niera di informazioni sui poteri esoteri­ci dei cristalli che è il Libro delle pietre preziose di Ahmad al-Tifasi, mistico mu­sulmano del Trecento, pubblicato per la prima volta in italiano a cura di Ida Zilio-Grandi (Marsilio). Gli editori hanno così raccolto l'aspirazione di una massa crescente di pubblico a passare da pubblicazioni divulgative a edizioni rigoro­se dei classici orientali, dotate di buone traduzioni: un lusso che non si poteva permettere neppure Arthur Scho­penhauer, il primo fautore in Europa, nel secolo scorso, della visione del mondo induista e buddista.

È appunto sul versante delle scuole idealistiche induiste che l'Adelphi pub­blica ora un testo molto atteso: La pre­senza di Siva di Stella Kramrisch, rigo­rosa e smagliante esposizione del mito di quello che già Mircea Eliade aveva chiamato «l'asceta erotico»: Siva, il Dan­zatore, il Distruttore, il benefico e terri­bile dio dalla crocchia avvolta nei ser­penti, dalla cintura fatta di crani; il Pos­sente, il Rapitore, il Mortifero. Siva è il Sommo maestro dello yoga in quanto forma suprema di meditazione e morti­ficazione del corpo, ma nello stesso tem­po è il Signore dell'Eros, rappresentato dal grande monumento fallico del Un­ga, che ne contrassegna la presenza nei luoghi sacri.
La tendenza alla carnalità e alla tra­sgressione, alla ricerca di stati emotivi intensi, di piacere o di allucinata emo­zione, porta a uno stato d'isterismo yogico, a un'«effervescenza della sensibi­lità», come la definisce Raniero Gnoli nell'introduzione all'opera di Abhina-vagupta, l'esegeta enciclopedico dei tantra: la monumentale Luce dei Tantra (Tantraloka), uscita sempre da Adelphi. Per il tantrismo, apparso nell’India del IX secolo della nostra era, basato sulla rivelazione di scritture anonime e non ortodosse (tantra, o «esposizioni salvifi­che»), il dono più alto è «una capacità di meravigliarsi più elevata dell'ordina­rio» come scrisse Abhinavagupta.
Il potenziamento dei sensi diviene co­sì divoramento del tempo nell’acutezza della percezione, sino alla follia, procu­rata o simulata, che accomuna le vite dei maestri kashmiri a quelle dei santi folli della contemporanea tradizione bi­zantina, ma anche degli hippy degli an­ni 70 o degli odierni punk.   


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