Basilio il Grande, la Natura è un inno
"Sulla Genesi. Omelie sull'Esamerone" Basilio di Cesarea
Articolo disponibile in PDF
Quando il mondo era più giovane di cinque secoli scriveva - Johan Huizinga nel primo capitolo dell'Autunno del Medioevo - tutti gli eventi della vita possedevano forme ben più marcate di quanto ne abbiano ora. Fra dolore e gioia, tra calamità e felicità, il divario appariva più grande. Ogni stato d’animo aveva ancora quel grado di immediatezza e di assolutezza che la gioia e il dolore hanno anche oggi per lo spirito infantile. Quanto più gravi erano l'avversità e l'indigenza, tanto maggiore era la capacità di godere del loro mitigarsi. Gli uomini erano più vulnerabili della crudeltà della natura, ma anche più inclini allo visione estatica di essa.
La poesia del cosmo
Quando ii mondo era più giovane di quindici secoli, tre meridiani più a Est del medioevo descritto dallo storico olandese, il medesimo sentimento della natura era proprio degli abitanti della Cappadocia alla fine dell'antichità, come testimoniano le nove omelie quaresimali di Basilio il Grande sulla creazione del mondo, che la Fondazione Vallo ha ora pubblicato per magistrale cura di Mario Naldini. Breviario di estetica, l'in Exhaemeron - «sui sei giorni» - è soprattutto un inno alla struttura poetica del cosmo, all'infinita trama di connessioni, corrispondenze e risonanze della natura creata, colta nel sorgere del primo sole: «L'aria si faceva splendida tutt’intorno. In un attimo e come in un lampo che nessuno immaginerebbe più rapido»
La provincia d'Asia nel quarto secolo, in cui visse Basilio, era un'assoluta meraviglia. Un mare ancora «lucente, su cui regna profonda quiete, o talora increspato in superficie da soavi brezze, trascolorante da porpora in azzurro», una terra che all'alba «indossa la sua veste di luce sfoggiando le infinite specie di piante», l'erba folta, le fertili distese ondeggianti di spighe, la rosa «in origine priva di spine».
L'aria è piena di traiettorie d'uccelli, il globo, «immenso nella sua grandezza e nel suo peso, puntato su se stesso», è sovrastato dal gigantesco cielo microasiatico gremito d'astri o di dèi, dei demoni del neoplatonismo, del roteante zodiaco dei Caldèi. Senza le luci delle città, incontrastato domina le notti «lo spettacolo della luna», sotto il cui raggio ancora riposano i melancolici: «Il suo umore riempie abbondante gli spazi della loro testa».
Il vescovo di Cesarea lesse queste omelie sul mondo coinvolgendo nel suo aristocratico animismo, nella fronda antiariana e antimperiale, un pubblico di umili impoveriti da un sistema fiscale vessatorio, un uditorio variegato, rumoroso, ondeggiante, incalzante e obiettante. L’universo di Basilio è insieme iniziatico e semplice, neoplatonico e visivo, adatto anche agli agricoltori e ai tessitori di seta. Gli innesti dei rami, l’alchimio della specie, la «sapienza ineffabile delle piante»: nulla è senza causa, nulla è fatto a caso, la cicuta o l'oppio, la stilla del lentisco, la morbida e oleosa essenza dei terebinti.
I fiori sono fragili come l'esistenza individuale umana: «Una sola notte, una febbre, una pleurite, un'infiammazione polmonare» possono sottrarla allo vita nel tempo, ma essa non è sola e intorno brulica il grande transito del creato. Dalle acque paludose «pullulano per fermentazione rane, moscerini, zanzare», balzano lo infinite specie dei pesci.
Basilio è un etologo nella descrizione precisa e partecipe dei nostri compagni di vita nel mondo. Quando tutto il pubblico «con sguardi e cenni reciproci» cerca di attirarlo al versetto sulla creazione degli uccelli, nell'omelia oliava il vescovo parlerà della fratellanza dei pipistrelli «che come una catena per vicendevole amore si attaccano fra loro appesi l’uno all'altro», ma anche dell'ingegneria dei nidi delle rondini, della vita in gruppo delle colombe e degli storni, delle gru che come guerrieri omerici montano a turno la guardia durante la notte.
La ragione delle volpi
Vi sono tratti del libro in cui Basilio il Grande arriva a riconoscere che «il comportamento migratorio delle cicogne non è lontano da un'intelligenza razionale», che i pronostici sui mutamenti atmosferici o la capacità terapeutica dei propri mali rivelano nel serpenti, nelle volpi e negli orsi «quasi un intendimento razionale», o comunque «una certa misteriosa propensione» alla conoscenza. Tuttavia in Basilio non affiora il dovuto riconoscimento della pari dignità dell’essere umano col resto della natura, proprio dì altre religioni e correnti di pensiero - gnostiche, alchimistiche - perseguite nel cristianesimo. «Stupidi come pesci» sono per Basilio «quei filosofi altezzosi che non esitano a stabilire piena uguaglianza fra le proprie anime e quelle dei cani e affermano di essere stati un tempo e donne e arbusti e pesci di mare». Eppure le sue omelie, insieme solo con alcune pagine di Francesco d‘Assisi, rappresentano l'estremo avamposto della religione cristiana in questo dominio.