In cammino verso l'anima
Itinerari. Dal ciceroniano «Sogno di Scipione» alla sapienza dei grandi padri della Chiesa: conoscenza e mistero, bellezza e virtù
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Il primo Natale fu quello del Sole Invitto. Il Dies Natalis Solis Invicti venne festeggiato per la prima volta a Roma e in tutto l'impero il 25 dicembre 274 per ordine di Aureliano. L’imperatore aveva sconfitto il regno di Palmira grazie ai sacerdoti del Sol Invictus di Emesa. Per gratitudine propose quel dio ai cultori di Apollo, ai seguaci di Mitra, ai fedeli di Serapide, agli adoratori di Dusares/Baal. In Siria e in Egitto per la nascita del Sole ci si ritirava in appositi santuari da cui si usciva a mezzanotte annunciando che la Vergine aveva partorito il Sole, raffigurato come un bambino. A Petra, secoli e secoli prima di Cristo, Dusares era celebrato il 25 dicembre sopra una pietra nera quadrangolare. La data coincideva con la Yule celtica e germanica, il Giogo dell'Anno, il “punto d'equilibrio oltre il declino della luce del sole”, che cominciava quindici giorni prima del solstizio d'inverno con la festa di San Niccolò - San Nikolaus, Santa Klaus – associato alla figura sciamanica del dio Odino.
La natura astrale, astronomica e zodiacale di ogni culto divino era chiara agli antichi. Il viaggio dell’anima si snodava, secondo le dottrine neoplatoniche e stoiche adottate anche dai romani, in un viaggio astrale. Lo racconta Cicerone in quel best seller dell’antichità che è il Somnium Scipionis, la “pallida Bhaghavad Gita dell’Occidente” come la definì Elémire Zolla. Il commento che ne scrisse tra il IV e il V secolo Macrobio – l’opera forse in assoluto più importante per capire la spiritualità antica e le implicazioni etiche dell’idea pagana di anima nella grande e sincretistica comunità intellettuale dell’impero romano ellenizzato - è ora finalmente pubblicato in edizione italiana a cura di Moreno Neri, con originale latino a fronte e con in appendice, insieme al testo originale del Somnium di Cicerone, un eccellente saggio sulla sua fortuna (Commento al sogno di Scipione, Bompiani, 916 pp., 31 euro).
Il viaggio dell’anima è anche il titolo del volume curato da Manlio Simonetti per la Fondazione Valla (Mondadori, 554 pp., 27 euro), un’antologia delle pagine che grandi padri della chiesa - Girolamo e Gregorio di Nissa, Agostino e Bernardo di Clairvaux – dedicarono a un itinerario difforme ma non diverso da quello di Scipione: quello dell’anima cristiana verso la salvezza, ossia la conoscenza e il mistero, ma anche la bellezza e la virtù.
“La virtù è di chi la sceglie”, diceva Platone. “Non è il daimon che sceglie te, sei tu che scegli il tuo demone”. Se la sapienza antica è indispensabile al presente, e se Platone, grazie anche agli studi della scuola di Tubinga-Milano, è oggi il filosofo più letto al mondo, per la festa del Sole Invitto, nel punto d'equilibrio oltre il declino della luce del sole, regalate la silloge ottocentesca dei suoi Dialoghi, originariamente condotta da Francesco Acri e appena ripubblicata da Einaudi con la preziosa cura di Carlo Carena (568 pp, 14 euro). Perché il corpo colpito dalle più gravi malattie muore, l’anima no, anche se si ammala e soffre, leggiamo nella Repubblica: regalatela nell’edizione con testo greco a fronte curata da Mario Vegetti per la BUR (1183 pp., 15 euro). E però, se “la tua anima è un dio”, come dice il Fedro (ripreso da Macrobio appunto nel Commento al sogno di Scipione), e se è immortale, come dimostra anzitutto il Fedone, riproposto ora con il titolo L’anima dall’editore Barbera (138 pp., 6,90 euro), l’idea dell’immortalità dell’anima, la più grande creazione culturale dei greci, non ha a che fare con la tesi cristiana della resurrezione della carne: quella platonica è se mai resurrezione dell’animadalla carne.
E allora? La morte corporea si vince con la morte filosofica: vincere le passioni, “essere terzo rispetto a sé”, come insegnavano ai cittadini del grande impero nato dalle conquiste di Scipione i filosofi stoici greci e i loro seguaci latini. Per esempio Seneca, di cui è ora uscita da Salerno, curata da Luciano Paolicchi e con testo latino a fronte, l’Apocolocintosi o zucchificazione del divo Claudio, la più famosa satira contro il potere mai scritta da un intellettuale romano (157 pp., 12 euro). Mentre si intitola Vizi e virtù dell’animo umano la silloge di dialoghi morali pubblicata dalla BUR (224 pp., 5 euro) e dedicata in realtà a un problema attuale come il nostro rapporto col tempo, la sua sopravvalutazione o sottovalutazione: fra tutte “la vita più breve e più tormentata è quella di chi dimentica il passato, trascura il presente e teme il futuro”.
Ma forse i più istruttivi, tra i dialoghi dell’età romana imperiale, sono quelli del grecofono Luciano, ora pubblicati in volume da Bompiani insieme alle altre sue opere, nella classica traduzione di Luigi Settembrini e con un’introduzione di Diego Fusaro e (2094 pp., 38 euro). Ai tempi in cui erano filosofi anche gli imperatori - come Marco Aurelio, sotto il cui regno visse – Luciano dedicò i suoi scritti non solo alla critica del potere ma a quella della filosofia, o meglio del potere culturale dei filosofi del suo tempo, e alla dissacrazione di ogni forma di dogmatismo, al dileggio di ogni fede religiosa, pagana come cristiana, e perfino, nell’Icaromenippo, della venerabile credenza del viaggio celeste dell’anima: “In una sola cosa dirò la verità, nel riconoscere che dirò unicamente menzogne”, scrive, mettendo in guardia allora come ora i suoi lettori da chiunque pretenda di possedere e poter imporre una verità non relativa.
Scriveva un altro imperatore filosofo, Adriano: “Gli adoratori di Serapide sono cristiani e quelli che sono devoti al dio Serapide chiamano se stessi Vicari di Cristo”. I culti solari e i culti cristiani nell’impero si erano presto confusi. Ma sant'Agostino (regalate le sue Confessioni nell’edizione pubblicata dalla Bur con la traduzione di Carlo Vitali e l’introduzione di Christiane Mohrmann, 235 pp., 6 euro) esortava gli adepti della nuova religione a non festeggiare il 25 dicembre il Sole, bensì Chi aveva creato il sole.
“Povero ma bello”. L’economico da regalare a tutti.
Lucrezio, Vivere laico, a c. di Paolo Marsich, Oscar Mondadori, 87 pp., 7 euro
“Gli uomini stanno chini sotto un peso ignoto, provati da un'ansia di cui non sanno la causa. Non sanno cosa vogliono, cercano inquieti un luogo diverso dove deporre la loro noia e il loro nulla. Il ricco romano lancia i cavalli verso la villa di campagna, li frusta ansiosamente, neanche gli stesse bruciando il tetto: ma già sulla porta sbadiglia, si addormenta, e la mattina dopo torna in città”.
Il De rerum natura di Lucrezio è il più bello dei libri dell’antichità, ma è molto lungo ed essendo in versi è spesso mal tradotto. Questa scelta, in prosa, è un antidoto contro il mal di vivere, ma anche un’arma di difesa contro ogni dogmatismo: un manuale di sopravvivenza per tutti.