Nelle mani degli antichi dei
Racconti all'ombra di Hillman
Articolo disponibile in PDF
“Guarda, ritornano”, scriveva Ezra Pound degli dèi greci, “uno per uno, / impauriti, solo a metà svegli”. Gli dèi non sono morti, scriveva Karl Gustav Jung, sono diventati malattie dell'anima. Ma è stato James Hillman a svelare al Novecento il ritorno degli dèi, o meglio agli dèi come modelli di psicopatologia, agli dèi come vettori di consapevolezza del destino proprio di ogni anima e di ogni suo aspetto, agli dèi come forme archetipiche nelle quali riconoscersi.
Ancora pochi sono in grado di farlo. Forse il primo è stato Robert Bly, che ha cantato il riaffiorare di Saturno nell’ombra della pandemia contemporanea: la depressione. Altri scrittori si sono ispirati al pensiero di Hillman, e alcuni dei loro libri sono diventati film di successo. Oggi un autore televisivo italiano, Cristoforo Gorno, nutrito di filosofia hillmaniana ma anche di conoscenza approfondita delle religioni classiche, è partito da questo assunto: l’intreccio fra i tormenti dell’anima individuale e i grandi mali collettivi può decrittarsi solo svelandone gli archetipi, riflessi negli antichi dèi.
E’ nel cosmo degli antichi che si incastonano le moderne storie del suo libro, Nelle mani di un dio qualunque (Aliberti, 283 pp., 17 €), racconti intarsiati gli uni negli altri in un’unica narrazione interconnessa come l’Anima Mundi rispetto alle espressioni di quella individuale. Le ossessioni, le premonizioni, anche le speranze si cristallizzano negli archetipi delle Furie vendicatrici o di Demetra che dona (e sottrae) le messi, di Ares massacratore o delle divinità femminili della guerra onesta e della pace — Atena ma anche Artemide e il “mandala lunare” —, di Ermes messaggero veloce, dio del ’68.
Tutte le complessità e contraddittorietà della vicenda umana, ma anche della storia presente, emergono in un disegno che tuttavia non ha nulla di provvidenziale, ma l’imperscrutabilità dei volti degli dèi olimpici, declinazioni di quel Dio Qualunque che può solo restare indifferente, come Apollo l’obliquo, che nel fregio del Partenone, mentre uomini e centauri si scannano, guarda distrattamente altrove.