Le icone bizantine salvano il mondo
"Bisanzio.Lo splendore dell'arte monumentale" di Tania Velmans
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Non è forse un caso che il fastoso volume Bisanzio. Lo splendore dell'arte monumentale di Tania Velmans - un assoluto classico della recente bizantinistica - riproduca in copertina l'Ascensione di Cristo della chiesa dei Santi Apostoli del patriarcato serbo di Pec. Pec è il nome che ricorreva tanto spesso, in televisione e sui giornali, durante l'ultima guerra del Kosovo; è la sede patriarcale martoriata dalle brutalità della storia più recente, cosi come dalle antiche vicissitudini dell'unico, scomparso, impero multinazionale balcanico: quello bizantino. Nella filosofia bizantina e poi russa viene chiamata icona quell'immagine che sotto l'apparenza di una forma materiale svela in trasparenza un sovramondo ideale metafisico o psicologico che sia. Fin dal pensiero greco, da Platone, l'immagine era, nel mondo sensibile che le dava supporto, la manifestazione dell'intellegibile puro. Protratta almeno a partire dal VI secolo della nostra era lungo il millennio di Bisanzio, l'astrazione del platonismo ha instillato all'arte figurativa greca, balcanica, poi slava, infine russa, un linguaggio teologico ha fornito alla teoria platonica, fattasi cristiana, un'iconografia complessa, minuziosa, intessuta di corrispondenze spirituali. Le illustra il saggio di Tania Velmans sui principi dell'estetica bizantina, che apre la parte del volume su affreschi e mosaici, cui si affianca la magnifica sezione sull'arte monumentale dovuta a due storici dell'architettura, Vojislav Korac e Marica Suput, di lingua serba.
«La bellezza salverà il mondo», scriveva Dostoevskij, ma questo era già il principio fondamentale dell'estetica bizantina.
Per Gregorio di Nazianzo come per lo Pseudo-Dionigi, per Giovanni Damasceno come per Gregorio Palamas o i grandi mistici della teologia esicasta. Lo stile di un'icona o di un affresco, lo splendore di un mosaico, l'armonia dell'architettura di una chiesa di per sé salvano, portano con sé verso l'alto e la luce. La bellezza è in sé sacra perché è una trasfigurazione dello spettatore, è un Tabor dello sguardo: agisce su chi la contempla proprio come la Trasfigurazione di Cristo in vetta al Monte Tabor sugli apostoli: dà la capacità di vedere la struttura spirituale e cristallina delle cose, al di là delle loro parvenze materiali e atroci.