Un “eccesso di civiltà”
Bisanzio non era la capitale degli intrighi. Demonizzata per volere dei Papi
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Esiste nel greco bizantino la parola «iperciviltà»: cosi definiva se stessa la politeia di Bisanzio, multietnica, sovranazionale, persino sovratemporale nel suo protrarre ed estendere, per i millenni e a Oriente, la lingua e il pensiero della polis greca, l'eredità politica dell'impero romano, il sincretismo tardoantico. Nel Libro delle cerimonie, di cui Sellerio ha recentemente pubblicato una scelta, l'imperatore Costantino Porfirogenito ha descritto un cerimoniale di corte più complesso di quello dell'imperatore della Cina. I suoi veli, i suoi riti apparentemente insensati, le sue scene corali, le acclamazioni ritmiche, i cortei dalle centinaia di parasole, le migliaia di sfumature delle tuniche avevano sempre un preciso significato La gerarchia della corte terrena si considerava «enigma e riverbero» di quella escogitata dai filosofi neoplatonici e dai teologi per la corte celeste. Dopo la caduta di Costantinopoli fu mutuata dalle autocrazie moderne, clonata da Luigi XIV a Versailles, ricalcata dagli zar e in qualche modo imitata da Stalin. La società di Bisanzio era dunque tanto evoluta da somigliare nel suo «eccesso di civiltà, alla moderna, ma non certo In quegli aspetti per i quali viene oggi applicata a sproposito la nozione di «bizantinismo» al nostro mondo politico. E una definizione che deriva da un'immagine di Bisanzio ottocentesca, falsa come una scenografia di melodramma. Viene dall'Italietta Umbertina delle Cronache bizantine del Sommaruga, dal dannunzianesimo, da dépliant turistici e miti campanilisti. Soprattutto, la demonizzazione di una Bisanzio capitale dagli intrighi è eredita ecclesiastica, cattolica, frutto di un'incultura deliberatamente imposta, in origine, dalla propaganda dei papi contro un impero che dall'altra parte del Mediterraneo privò il doro del potere secolare. Fu un tentativo di Stato laico, se pure dominato da un'ideologia ultraterrena, amministrato secondo il diritto classico, da un élite dominante ramificata, educata, cosmopolita e plurilingue.
La classe dirigente di Costantinopoli operava in un Palazzo che aveva archivi immensi, una biblioteca di vertiginosa, borgesiana grandezza, un'università giuridico filosofica che esprimeva i vertici delio Stato: dove gli imperatori erano grandi matematici, i consiglieri ai governo avevano talvolta, coma Psello, la carica di «console dai filosofi», Il figlie e le amanti degli statisti conoscevano a memoria i versi di Omero e anche l'ultimo segretario sapeva citare alla lettera Platone e Aristotele. Sarebbe davvero magnifico, sa il nostro mondo politico fosse davvero «bizantino».