Ermes, dio alato di Internet
Già a Roma e in Grecia i suoi aiutanti erano chiamati
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Se un cittadino ha un dubbio irrisolto, può recarsi la sera alla piazza del mercato di un luogo di nome Pharai, in Acaia, e bruciare incenso all'immagine di Ermes. Deve riempire d'olio le lampade di bronzo che ornano il focolare sacro, accenderle nel crepuscolo, lasciando cadere una moneta sull'altare, e infine sussurrare la domanda nell'orecchio di pietra del dio. A questo punto - scrive Pausania, il viaggiatore del II secolo deve tapparsi le orecchie e solo all'uscita della piazza scoprirle: e qualsiasi parola abbia allora udito, avrà forza di oracolo. Ermes, distributore di messaggi fortuiti, patrono del ritrovamento casuale (ogni oggetto in cui ci si imbatte per caso porta in greco il nome di hermaion, dono di Ermes) nonché signore dei passaggi e degli spazi aperti, è un dio della Circolazione. Veloce come la luce e messaggero degli immortali, presiede all'interpretazione stessa dei messaggi, all'ermeneutica - come rivela il suo nome - e a qualunque genere d'indagine. I suoi calzari alati simboleggiano le parole, che Omero definiva pteroenta, alate. Platone lo chiamava dio del Logos: si usava dedicargli la lingua e gli erano consacrate le orecchie. Un mito opera ovunque lo si trasponga: la sua rete di simboli, apparentemente enigmatica e incongrua, a ogni trapianto si ricrea immediatamente identica. Angelo della pirateria e del furto, della promiscuità e dell'alchimia, garante della decodificazione in tutte le sue forme, Ermes potrebbe essere oggi il dio della rete: un nume digitale, una divinità informatica, che serpeggia alata nel flusso di Internet. Non servono neppure nuovi epiteti: anche in Grecia e a Roma il Cercatutto e l'Archivio erano suoi assistenti, entrambi chiamati, in latino, Monitor: già nell'antichità, come nei computer, la sua principale dimensione era la Memoria. I signori della memoria e dell'oblio è il titolo di un sorprendente volume (La Nuova Italia) curato da Maurizio Bettini e nato dai lavori della Società Antropologia e Mondo Antico. Se a un congresso di questa società, che Bettini ha fondato e dirige, capita d'incontrare in qualità di relatore, accanto a illustri e compiti filologi, uno stregone del Burundi, la cosa non deve affatto stupire: l'antropologia del mondo antico ha radice nello strutturalismo ed è una scienza della sincronia, trasversale alle epoche come alle discipline. Il suo punto d'avvio è la psicologia del mito, l'osservazione dell'affinità e permanenza di strutture del comportamento e del pensiero, nostre come degli abitanti del mondo greco-romano o dell'Africa Nera. In un periodo in cui il mito sta di nuovo calamitando la poesia e la filosofia, l'antropologia storica ha il fascino esotico di far riscoprire l'antichità attraverso il confronto con culture arcaiche di qualsiasi epoca - dai Watussi agli Aztechi, dalla Controriforma in Alsazia e Lorena alla società contadina del Mezzogiorno - ma il suo obiettivo ultimo è d'interpretare, attraverso le strutture così rievocate, il mondo presente. I saggi raccolti nel libro di Bettini esplorano la categoria della comunicazione nel mondo arcaico (suddividendo la custodia della memoria in quattro ruoli: il profeta, che mette in comunicazione il mondo umano con quello soprannaturale; il medico, che ristabilisce la relazione fra presente e passato per individuare le cause del male; la donna, archivio vivente della memoria familiare; il bardo, che rielabora la voce collettiva della piazza). Oggi invece la cultura dominante ha trapiantato la sede della memoria nell'enorme ammasso di archivi creati dalla civiltà della scrittura. La comunicazione sempre più prescinde dall'interazione fisica, garantita dalla posta elettronica e dal fax. La categoria religiosa del messaggio, che Ermes dio del Sussurro impersonava, si è dissacrata e disincarnata fino alla conversione della voce in suono telematico: il brusio della televisione e il gracchiare sinistro del piccolo telefono rettangolare come un'orma, portato in tasca.