Resuscitare Ottavia, fantasma muto nella Roma imperiale
Liliana Madeo racconta la figlia di Messalina e Claudio, a nove anni moglie di Nerone, liquidata da Poppea, uccisa a 20 anni dai sicari: su di lei tacciono le fonti, ma per lei parla il Tempo
Articolo disponibile in PDF
A volte, nella storia degli studi, si verificano fenomeni singolari, prodigiosi perfino veri – direbbero gli antichi, regali degli dèi. A volte i non specialisti riescono a scrivere libri appassionati e poderosi traendo ispirazione da ciò cui gli specialisti dedicano le più ortodosse delle loro energie, ma dai loro divertissements. Segno forse che, se gli specialisti si concedessero più spesso di scrivere in libertà, forse i loro libri, senza rinunciare alla serietà, riuscirebbero a coinvolgere un pubblico ormai sempre più distratto.
Questo vale tanto più per l’antichistica, e il caso dell’Ottavia di Liliana Madeo è esemplare. A ispirare questo libro fortunato è stato uno dei massimi esperti della Roma imperiale, Andrea Giardini. La suggestione ispiratrice, tuttavia, non è venuta da uno dei fondamentali saggi del celebre accademico, ma da un suo volumetto per l'infanzia, delizioso peraltro: La terribile storia di Nerone, illustrato da Emanuele Luzzati. A partire da questo libro Liliana Madeo ha deciso di allestire una vera e propria inchiesta giornalistica, e non solo, su un'antica storia da copertina, clamorosa e notissima, ma troppo esile, forse, per studi rigorosi, riassumibili nel seguente lancio: «A nove anni sposa di Nerone, liquidata da Poppea, è uccisa ventenne da sicari».
Le fonti antiche ci dicono che Ottavia fu strumento di Agrippina Minore, nipote e moglie di Claudio, per legittimare l'ascesa al trono imperiale del proprio figlio. Nerone appunto, a danno di Britannico. Ma tacciono su Ottavia come persona. Non ci hanno tramandato una sola frase pronunciata da lei, né un particolare del suo aspetto e neanche un giudizio sulla sua figura che non sia quello di Tacito, fatto di semplice pietà per la vittima che si ribella alla morte, o forse in realtà non privo di un implicito e indiretto elogio, nel riferire del popolo che manifesta abbattendo le statue della rivale che l'ha soppiantata: Poppea appunto.
Perché Ottavia, figlia della sfolgorante Messalina e del divo Claudio, esponente quindi di una gens, quella giulio-claudia, da Augusto in poi considerata divina, non poteva mancare di un alto senso di sé. Né, avendo per padre il più erudito degli imperatori romani, non essere stata educata in modo raffinato e colto. Insomma, Ottavia non doveva affatto essere una figura tanto scolorita quanto la rappresentavano, in contrasto con le altre matrone dai costumi rutilanti, proprio i disegni di quel Nerone per bambini che aveva fatto scoccare la scintilla della curiosità in quell'intervistatrice di grande fiuto.
Con gli strumenti che la conversazione con Andrea Giardina le aveva fornito, ma anche con il coraggio dell'immaginazione, Liliana Madeo ha fatto diventare la scintilla un fuoco. Ben conscia di essere davanti a una sfida, a un'inchiesta impossibile, ha alimentato la fiamma con studi minuziosi e intelligenti, in cui le armi del detective sono state fuse con quelle della storia e dell'esegesi testuale, e da queste ultime temprate.
Liliana Madeo è partita da un assunto tanto semplice quanto ferreo e inoppugnabile. E' vero, le fonti antiche tacciono su Ottavia. Ma sappiamo moltissimo sul suo tempo, sulla società in cui viveva, sulle idee che vi andavano penetrando, sugli ordinamenti e i rapporti sociali, sulla civiltà materiale.
Gli studi del grande Santo Mazzarino, il maestro dell'intervistato Giardina, hanno rinnovato tutto quanto già conosciuto, che era peraltro già molto, ed i gender studies di Eva Canterella ci stanno fornendo ulteriore materiale prezioso (per citare solo due dei pregevoli filoni storiografici cui Liliana Madeo ha fatto riferimento). Dunque, se Ottavia è un fantasma, partendo dal nostro sapere sufficientemente vasto sul primo secolo basterà accendere fari incrociati che fendendo ciascuno dei territori conosciuti costringano questo fantasma a definirsi e prendere forma. Basterà lasciare che Ottavia interagisca col suo tempo.
«Per raccontare quel tempo sconvolto e stanco, di grandi rivolgimenti e di grandi personaggi, il tempo di Ottavia, ho potuto attingere alla ricca documentazione esistente - scrive l'autrice - senza mai discostarmi da quanto riferito dalle fonti antiche e dalle ricerche più recenti». Eppure, ed era stato probabilmente questo a inibire in precedenza gli storici, neanche cosi il materiale meramente storiografico poteva bastare. Liliana Madeo si è allora rifatta all’Adriano della Yourcenar, alla sua regola aurea: «Leggere un testo del II secolo - (in questo caso del I) - con occhi, anima e sensi di quel secolo».
Così come nei confronti della Yourcenar, anche verso Liliana Madeo all'antichista può capitare di provare invidia: per la capacità medianica, comune a entrambe le autrici, di indovinare con certezza quali fossero quegli occhi, quale quell’anima, quali quei sensi. Agli antichisti non riescono mai simili divinazioni: anzi più si immergono nel passato che studiano, più percepiscono se mai, e dolorosamente, la sua alienità e incoglibilità, la sua abissale irriconciliabilità con la prospettiva, la psicologia e la sensibilità odierne. Ma questo non accade a chi non è antichista, o almeno non accade quando gli dèi concedono che si verifichi quel singolare fenomeno, o prodigio, per cui chi non è antichista riesce a scrivere un libro appassionato e poderoso su ciò che un antichista non oserebbe mai affrontare.
La fantasia è insieme un dono e un fardello. All'impenetrabile imperatore Adriano non sarebbe stata prestata, senza una fervida fantasia, la sensiblerie tardodecadente che ha conquistato migliaia e migliaia di lettori alla Yourcenar. Né all'evanescente Ottavia potrebbero essere attribuiti quei pensieri, giudizi, moti dell'animo — compreso un nascente penchant cristiano — che tessono la trama di questo libro, che lo storico non potrebbe mai provare, ma di cui l'autrice riconosce limpidamente e serenamente l’arbitrarietà. E di cui si scusa, al termine dei singoli capitoli, con dei veri e propri atti di contrizione, che sono forse le pagine più incantevoli del libro.