E infine Augusto creò gli Stati Uniti di Roma
L'imperatore che baso il suo potere sul «consenso universale»
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IL 2 settembre del 31 a.C. due generali romani si scontrarono nel mare di Azio con la forza simbolica di due divinità, eponime dell'Occidente e dell'Oriente. Il figlio adottivo di Cesare, il virtuoso Ottaviano, acclamato nuovo Apollo, e il nipote di Cesare, il dissipato Antonio, salutato come nuovo Dioniso, si contendevano insieme al dominio del Mediterraneo il destino della sua gravitazione geopolitica: orientale la voleva Antonio, con il suo baricentro nell'ellenistica Alessandria, come suo zio, Giulio Cesare, aveva già sognato; occidentale Ottaviano, con al centro Roma e l'Italia, come la storia, o il caso, ratificò. In apparenza, oggetto della contesa erano due donne: la mite Ottavia e la bellicosa Cleopatra. Antonio aveva ripudiato la prima, sorella di Ottaviano, per divenire amante e padre dei figli della seconda, già amante e madre del figlio di suo padre Giulio Cesare. Il coltello di Apollo-Ottaviano raggiunse e uccise Cesarione in fuga dall'Egitto un anno dopo, quando già Cleopatra e Antonio si erano uccisi, eliminando così dalla competizione l'unico figlio naturale del dittatore. Il regno dei Tolomei, l'ultima potenza sorta dall'impero di Alessandro, fu «aggiunto all'imperio del popolo romano»; l'anniversario della presa di Alessandria fu festeggiato da allora in poi nei calendari romani; «amici, è tempo di brindare», scrisse il poeta Orazio. E fu così, per opera di un trentenne magro, aristocratico, dai lineamenti sottili e dall'apollinea ferocia, che nacque l'impero romano. La sua figura e il suo volto si specchiano bene in quelli di Peter O’Toole, che da domenica interpreterà l'Augusto anziano per la Rai, in una fiction si spera storicamente meno farneticante di quella su Cesare trasmessa da Mediaset. L'idea di impero egemonizza oggi, il dibattito politico globale. Il declinante impero americano può rivendicare un'analogia con quello di Ottaviano? con il suo obiettivo di un'interminabile pace, appunto la pax Augusta, imposta però di fatto con le armi? In ogni tempo e luogo, si sa, la pace non è che «il proseguimento della guerra con altri mezzi», come disse von Clausewitz. Per questo, forse, la figura di Augusto è stata accostata a quella del presidente americano nei lunghi tempi preparatori dell'ultimo conflitto in Iraq. Nei dopoguerra, però, la propaganda imperiale non doveva mai misurarsi con i fotografi e le telecamere. «Pacificazioni» è l'appellativo che le antiche fonti e i moderni manuali di storia danno alle guerre della pax Augusta, dove peraltro le legioni romane non sempre ebbero la meglio, come nel disastro di Teutoburgo («Varo, ridammi le mie legioni»). La mistificazione ideologica alla base della pacificazione augustea, costellata in realtà di violenze e guerre, non è dissimile da quella propugnata da Bush, che scandisce l'espansionismo del suo impero in missioni definite di pace. Anche Augusto si pose come pacificatore universale del mondo conosciuto, chiuse il tempio di Giano, dio della guerra, e basò il suo potere sul «consenso universale» di senato e popolo degli «Stati Uniti di Roma». La sua ascesa al potere era stata in realtà scorretta, come sottolineò Tacito. La sua insicurezza restò tale che, racconta Seneca, «andava in senato con la corazza sotto la toga». La politica interna di Cesare figlio, con la sua restaurazione dei culti religiosi e dei valori tradizionali di una romanità arcaica e moralista, richiama il puritanesimo e l'integralismo cristiano di Bush figlio. Il nuovo patriottismo occidentale e l'esaltazione della missione civilizzatrice ed ecumenica del «modo di vita romano» di Augusto non sono dissimili dall'occidentalismo crociato che viene contestato al presidente. Per non parlare del familismo in politica, o dell'instradamento dei capitali dei grandi elettori e dello stesso patrimonio personale nelle imprese di stato e negli appalti delle nuove province colonizzate. Ma il gioco dell'attualizzazione storica non è mai simmetrico. Nella querelle tra gli antichi e i moderni emerge puntualmente la superiorità dei primi. Magari potessimo riconoscere a Bush la cultura politica e l'abilità strategica che Augusto dimostrò nell'espansionismo militare come nella gestione della propaganda. Magari i tratti del presidente, sui giornali e gli schermi TV, mostrassero la composta nobiltà di quelli marmorei del rampollo della gens Iulia. E magari i suoi sostenitori Neocon avessero lo stile di Virgilio e Orazio. Se volessimo davvero trovare un alias romano di Bush Junior, più che ad Augusto dovremmo pensare a Commodo, che divenne, per anomalia del diritto e della storia, imperatore perché figlio carnale di un imperatore, e che credeva di essere l'incarnazione di Ercole e combatteva coi gladiatori nell'arena. Ma questo è un altro film: il Gladiatore, appunto, e non l'Augusto che vedremo domenica.