Osceno, anarchico Catullo
Una nuova traduzione dei carmi: così il "poeta maledetto" sfogava gli umori di una generazione delusa dalla politica
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Persino Baudelaire chiamava Catullo poète brutal. Sorprende un efebo a sverginare una ragazza più grande ed ecco, con l'aiuto di Venere, riferisce in versi divertiti, «lo infilza sull'istante» (carme 56). Tallo, il cinedo, è più molle d'un pelo di coniglio, d'un midollo d'oca, d'un lobo d'orecchio, del pene floscio d'un vecchio (c. 25). Gli Annali di Volusio sono cacata charta. La giovane Ameana è «una fica spremuta» (defututa), ma soprattutto la follemente amata Lesbia, influente dama della gens Clodia, si trova agli incroci e nei vicoli «a succhiare del magnanimo Remo i nipoti» (c. 58): è una peste, una morte per l'anima (c. 76); ma fa morire di pena pure che Vatinio aspiri al consolato, che Nonio sieda sulla sedia curule. Cesare è uno «sporco invertito» (c. 57). Se si considera la nuova classe dominante, l'unica conclusione possibile è non schierarsi: «Che m'importa. Cesare, di piacerti, che tu sia nero, o bianco» (c. 93). Quella di Lesbia-Clodia, Tallo, Ameana, Catullo e compagni è la Roma delle guerre civili, in effetti «già tinta di Cesare». Enfant prodige, cucciolo (catulus) sarcastico e disilluso dell'ottima famiglia che già ospitava in villa il futuro dittatore, Valerio Catullo - di cui esce da Frassinelli una nuova edizione delle Poesie, con testo a fronte, a cura di Gioachino Chiarini - appartiene a una di quelle generazioni di precocissimi cui la politica ha tolto ogni speranza, di quelle in cui, diceva Santo Mazzarino, si imparano in un anno cose che altre non apprendono in dieci. In cambio si leggono i colti poeti greci, Callimaco, e l'unica ambizione resta vivere al di fuori di qualsiasi ambizione, pubblica, politica, scrivendo sul grande come sul piccolo, fare della letteratura maldicenza, conversazione, poesia privata e breve, scattante; ambizione - come ricorda Chiarini - non perdonata a Catullo né ai suoi coetanei dal retore Cicerone, «seme di Roma alto parlante, avvocato degli avvocati» (c. 49), che li bollò come poetae novi: una nouvelle vague di maledetti. Crocifisso nell'amore-odio per l'irraggiungibile Lesbia (c. 85), non fosse morto trentenne sarebbe forse finito, come Rimbaud in Abissinia, nell'infuocata e prediletta Bitinia (c. 46). «In un giudizio morale antico è difficile penetrare», scriveva Ceronetti nella sua edizione di Catullo comparsa 25 anni fa. Il rapporto fra il traduttore e il testo, diceva, somiglia al ballo con un decapitato. Ogni testo ha un suo Apollo, con il quale è necessario stabilire un rapporto, ma il dio è introvabile: «Ogni nuova traduzione che tento di un testo antico mi porta questa paura: come agirò con lui se non ne conosco il dio? La conoscenza filologica non compensa l'ignoranza degli dèi. Non siamo atleti uguali, se dietro il braccio che mi sta di fronte c'è una forza estranea che lo sostiene, con cui è impossibile discutere, irrivelata. Altro nascerà, chi sa che cosa, dal disuguale confronto». Cibele, Attis, i riti, le orge, l'erotismo come automutilazione: a Baudelaire non piaceva Catullo anche perché poète mystique. Dal disuguale confronto di Ceronetti nacque una traduzione geniale, inarrivabile, che rivelava il nascosto volto dionisiaco di Catullo, la sua Cibele maledetta, «una rude modificazione genica, una lesione encefalica» del verso, universale, atemporale diritto della scrittura alla nevrosi e alla follia. La vita antica, con le sue frenesie coribantiche come nei carmina docta, non separava con tagli ciechi la sanità dalla malattia mentale o dalle sue estasi cruente. Dell'amore per Clodia-Lesbia sviscerava la sete delusa di pura tenerezza, il raptus di compassione protettrice; delle divagazioni omosessuali, tolti i dispetti, la consolante leggerezza. A torto osteggiata dai filologi «puri», l'attualizzazione ceronettiana di Catullo era la chiave, l'impronta per ogni futura traduzione: impadronendosene Chiarini con filologia irreprensibile ne ha riprodotto l'estetica, la mistica, l'oscenità, l'anarchia. Se il disordine e il male, scriveva Ceronetti, gettano nell'orto catulliano il riverbero di un vicino incendio che non lo toccherà, il Liber è un carillon che si ricarica automaticamente dopo aver agitato nell'aria, in uno spazio circoscritto e arredato di cose pure, la sua breve musica mozartiana.