Sorpresa: Narciso aveva un gemello
Un volume curato da Maurizio Bettini esamina un tema centrale per la cultura antica: quello dello sdoppiamento
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Se vi sono ancora adolescenti che si innamorano del personaggio di un film o di una soap opera televisiva, e pare ve ne siano, ebbene costoro non sanno di appartenere a una categoria antichissima: quella degli «innamorati di un'immagine», tra cui è anche Narciso, l'adolescente che curvo sullo specchio della fontana scorge l’immagine riflessa del proprio volto ed è preso da un amore vano, irrealizzabile e resistente a ogni gesto. Del resto, gli antropologi leggono quello di Narciso anche come un mito del fascinum, del potere malefico di un «occhio» che guardandosi s'ipnotizza e si distrugge: una possibile allegoria, appunto, della televisione.
Al mito di Narciso sono dedicati due saggi del volume La maschera, il doppio e il ritratto, curato da Maurizio Bettini per l'editore Laterza (pagg. 180 lire 32.000) e rivolto a una costellazione tematica centrale non solo per la cultura antica, quella dell'immagine e degli sdoppiamenti e varianti di essa: effigie, maschera, larva, ombra, psychè. Un volume vario e affascinante, che raccoglie i contributi di più studiosi - tra cui Jean-Pierre Vernant, uno dei padri dell'antropologia storica del mondo antico - ad un colloquio tenutosi due anni fa, nell'ambito degli incontri fra antichisti e antropologi che organizza l'associazione «Antropologia e Mondo Antico» dell'Università di Siena.
Forse non tutti sanno chi furono Biblide e Cauno, ma si può osservare che i personaggi della soap oper, ad esempio, replicano il tipo «isiaco-osirideo» dei gemelli amanti se non altro nella reciproca omologia somatica: stesso make-up, stessi zigomi. Come rileva il saggio su Narciso e le immagini gemelle, a firma del curatore del volume, quello di Narciso è anche un mito dello sdoppiamento del sé, la parte di un fantastico racconto gemellare che da Pallade-Atena a RomoIo-Remo attraversa le radici della nostra psicologia collettiva. Nel gemello, in cui si esprime la fragilità dell’io, vive anche un illusorio amante: è affine a quella data dal ventre materno l'oscura parentela amorosa. Nei poeti dell età di Augusto il rapporto di coppia e di comunanza fra amanti non legittimati dal vincolo coniugale - un rapporto quindi non sancito né definito socialmente, sovversivo nel fondo come la stessa poesia elegiaca - trova pertanto una sua definizione sostitutiva nel legame di parentela per gerarchia contiguo, quello fratello e sorella. Il linguaggio amoroso latino adotta questo legame, sublimandolo misticamente come fanno gli elegiaci o manipolandolo ironicamente come il Satyricon di Petronio. Tale sconcertante oscillazione, documentata negli esempi di Bettini, è all’origine di un’analoga ambiguità nel linguaggio dei primi cristiani, che va formandosi proprio in quello stesso periodo: l'ambiguità tra «amore» e «fratellanza», che scandalizzerà l'opinione comune laica dell'epoca nell'equivoco di una sospetta promiscuità incestuosa tra gii iniziati all'agape di Cristo.
Nello sviscerare implicazioni e complicanze del mito di Narciso, Bettini è fedele al medesimo intellettuale gioco di rispecchiamenti che attribuisce al maggiore interprete della vicenda, Ovidio. L'autore stesso ha, nello scrivere, un'allure di narratore moderno oltreché di studioso: le sue pagine su Narciso possono anche leggersi come un racconto fantastico, pieno di deliberate ambiguità e rovesciamenti, cosi come ironia e amore per la letteratura.