Martire si, ma anche casto?
"Thomas Becket" di Pierre Aube
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E’ propriamente politica, fin dalle origini della storia della chiesa, la funzione o missione dei santi «martiri», letteralmente testimoni di un’ideologia, interpreti di una militanza individuale contro lo stato, o contro una particolare forma storica di esso. Già ai tempi dell’impero romano, e poi attraverso il medioevo sino alla Controriforma e oltre, la chiesa cattolica ha avuto nella letteratura martirologica un’arma contro il potere secolare. Martire è chiamato dalla chiesa Thomas Becket, forse la più sconcertante e tragica figura politica del medioevo, l’arcivescovo di Canterbury che pagò con la vita l'opposizione alla laica potestas di Enrico II Plantageneto. Dalle biografie più o meno leggendarie - vitae acta gesta passiones miracula - che affollano ben quattro volumi dei Rerum Britannicarum Medii Aevi Scriptores, all’Assassinio nella cattedrale di Eliot, si rifà al genere martirologico una vasta letteratura d’ispirazione cattolica che include anche saggi di qualità minore: come questo di Pierre Aubé ora edito da Jaca Book con una prefazione di Inos Biffi, composta - puntualmente vi si annota - nell’ anniversario e nella memoria «del martirio di Tommaso Becket».
La morte di Tommaso di Canterbury in nome della libertà della chiesa, più concretamente dall’indipendenza del clero inglese dai tribunali secolari cui lo sottomettevano le Costituzioni di Clarendon, fu nella fattispecie strumento di propaganda per l’autorità temporale dei papi contro il cesaropapismo di lì a poi imperante, che fece dell’Inghilterra medievale e rinascimentale il più «bizantino» degli stati europei. Esso favorì peraltro quell’esclusiva dedizione del clero anglicano alla cultura che diede all'Europa, come già Bisanzio all’Oriente, insieme la maggiore speculazione filosofica e la migliore organizzazione universitaria.
Nel libro di Aubé, che pur basandosi su una ricognizione delle fonti ha l’andamento del romanzo, la prospettiva è più di parte, o forse più ingenua, o entrambe le cose. La pregiudiziale simpatia per il personaggio può perdonarsi allo storico: per secoli si è ceduto alla tentazione di scorgere in Becket il simbolo della cultura in lotta col potere. Ma non tanto storico quanto dogmatico- confessionale è il quesito di fondo su cui il libro s’interroga: la santità dell’aristocratico chierico (di cui l'autore è convinto), la sua privata moralità e perfino, seriamente, la sua castità.