La guerriglia di Troia
"Introduzione a Omero" di Franco Montanari
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Come è nata la poesia in Occidente? Il primo poeta conosciuto è Omero: prima di lui è il mistero e il vuoto di conoscenza, quella di Omero non è soltanto la prima poesia, è poesia prima. Il progresso degli studi omerici - terreno magmatico, impraticabile ai profani senza una buona guida - trova ora aggiornata esposizione nella sintesi di Franco Montanari, da cui emergono i dati d’una ricerca in passato inconcepibile per Vico, Wolf o quanti moderni si accanirono sulla questione omerica, ma in parte già attuata dagli antichi grammatici ellenistici.
A loro ritornano le odierne tendenze neounitarie, in reazione alla teoria «pluralista» che negava l’esistenza di Omero e leggeva nell'Iliade e nell’Odissea l’ingenuo patchwork (rapsodo è, letteralmente, il «cucitore») di più canti sparsi, variamente connessi e interpolati. Per la recente critica, al contrario, la coerenza architettonica, la vasta nervatura d’echi e richiami a distanza della narrazione epica, presuppone l’intelletto unificatore di un grande poeta: richiede che un “Omero”, chiunque costui fosse, sia esistito, a ricomporre e riscrivere anteriori e minori poemi, esito, a loro volta, della lunga tradizione rapsodica; la ricerca contemporanea non rifiuta, ma anzi utilizza sia le indubbie acquisizioni del filone formulare e oralistico, sia le recenti interpretazioni antropologiche sull'epica omerica come enciclopedia tribale.
Del resto, dopo il ritrovamento di Troia nel secolo scorso, ai micenologi è toccato mostrare - rovesciando anche in questo caso le attese e le teorie dell’archeologia romantica - che i poemi omerici non provengono dal fiorire della civiltà micenea, ma dalla sua caduta. La Ilio “Omerica” di Schliemann non fu assediata dai carri da guerra, dai Signori dei Palazzi, ma piuttosto razziata e incendiata da nuove e incalzanti etnie, note in seguito sotto il nome misterioso di Popoli del Mare, o Figli di Eracle, o Dori, in predazioni d’improvvisa violenza. Se la guerra di Troia fu dunque una guerriglia, la dizione epica, l’esametro greco non furono inventati in tempi di splendore: nella prosperità economica, nella pace sociale achea la scrittura serviva, più sobriamente, ad amministrare registrazioni contabili, liste di persone e oggetti sono tutto quanto le tavolette di Micene e Pilo hanno serbato. E’ invece nella contestazione dei poteri (Achille contro Agamennone), nello scontro delle classi (i Proci contro Odisseo), nel crollo delle corti che la lingua si plasmò in letteratura: l’uso poetico della scrittura si deve ai secoli bui, all’allarmante età del ferro e non all’ abbagliante età del bronzo.
E’ così che il lettore di questo prezioso manuale, avendo dinanzi gli elementi della questione omerica, può completare l’intarsio e rispondersi che la «poesia prima» è nata piuttosto dal lavoro di uno scrittore che dalla folgorante creazione orale di un rapsodo, piuttosto dalla decadenza di un antico impero occidentale che dalla sua prosperità sociale, economica e politica.