Pensò alla storia come a un eterno conflitto
Santo Mazzarino. Si ristampano le sue opere da tempo esaurite, si discute il suo pensiero
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Riportando oggi in libreria «Tra Oriente e Occidente», l'editore Rizzoli prosegue la ristampa dei saggi di Santo Mazzarino (Catania 1916 – Roma 1987) usciti negli anni 40 e 50 e da tempo esauriti. L’iniziativa si affianca al lavoro di riesame iniziato due anni fa da un convegno e da un seminario presso le università di Catania e dell’Aquila, i cui «Atti» sono di imminente pubblicazione.
Mazzarino è stato tra di ultimi grandi studiosi di una generazione formata su un’esplicita filosofia della storia, e probabilmente l’ultimo ad averne elaborata una. Dopo i suoi libri di storia e di storia della storiografia – le opere maggiori e il breve capolavoro «La fine del mondo antico», recentemente ristampato - la ricerca sull’antichità ha quasi del tutto perso, insieme a molte certezze, l’intento sistematico. La storiografia si è specializzata nello studio di aspetti singoli, frammentandosi nel tecnicismo microstorico e minimalista. «Il pensiero storico classico» è «una grandiosa distruzione di idee generali ricevute»: per Mazzarino i fenomeni storici, non in sé razionali, non possono studiarsi secondo un canone interpretativo sistematico, come la grande storiografia borghese illuministica o positivistica aveva tentato di fare.
In realtà Mazzarino, comunista in politica, non sembra seguire neppure il modello storiografico marxista: la storia è per lui un susseguirsi di conflitti mai destinati a risolverei né a comporsi, la sua analisi sociale predilige i fenomeni di dissoluzione, le epoche di grande potenzialità rivoluzionaria, ma non nell’accezione positiva del termine bensì in quella, a lui peculiare, di «disgregazione» e «deflagrazione». Effetto di un populismo ereditato forse dalla formazione cattolica più che dalla sua evoluzione materialistica, a Mazzarino interessano, del tardoantico, le potenzialità di democratizzazione della cultura, i problemi della marginalità e delle nazionalità, la possibile rivolta degli oppressi: tutto quello che, se fosse stato, avrebbe potuto mutare segno alla storia e alla «presente età del ferro».
Il che probabilmente chiarisce perché un uomo che penetrava e sentiva a fondo il presente si rivolgesse al passato e scegli esse di applicarsi all’antichità arcaica e classica e poi appunto tarda: come egli stesso scrive all'inizio dell’«Impero romano», «l’immagine della disgregazione del mondo antico è il fatto sociologico più rilevante nella storia della nostra cultura». E’ importante la parola «immagine». Ricco di quella misteriosa vitalità, curiosità, operosità, capacità di spendere notti sui libri, abitare le biblioteche e consacrare ogni nomata alla ricerca e alla scrittura, proprie di chi studia il passato, Mazzarino era anzitutto uno straordinario scrittore, e questa è la grande contraddizione del suo personaggio: accanto alla polemica antiborghese domina in lui, meridionale di colte letture, un’esigenza estetizzante dalla quale discende non solo il genio stilistico dei suoi libri, ma, più profondamente, la tendenza a risolvere e sublimare in immagini quei problemi che la storiografia deve in realtà riconoscere insolubili.
Proprio l’esperienza della natura insondabile ed enigmatica dei fatti, anziché indurre sterilità, produceva in lui la fantasia storica, una sorta di edonismo narrativo, la volontà di raccontare il possibile oltre al reale: una moderna estetica dell’incertezza accanto all’etica scientifica del dubbio.