Sono un anonimo, denuncio il malcostume
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Notissimo agli antichisti, questo breve trattato che la Fondazione Valla ora consegna al grande pubblico in forma di esile, straordinario libro ad opera di Andrea Giardina emerge con il lucido realismo dei contenuti dalle nebbie di un’antichità più che tarda. Frutto della percezione d’un singolo, lungimirante e isolato osservatore politico, il De rebus bellicis è in verità espressione dell’ansia collettiva in un impero-prigione assediato dalla barbarie «che latra tutt’intorno» (circumlatrans). L’anonimo riformatore ci trasmette l’implacabile diagnosi e l'inapplicata terapia della decadenza, uno schema di formule per il risanamento della funzione pubblica, delle finanze e dell'apparato militare che, se il rapporto non si fosse insabbiato sotto il gran peso di carteggi, diplomi, bolle e petizioni nella pletorica cancelleria di corte, avrebbe forse un poco deviato la china della stona alla vigilia di Adrianopoli. L’ingegneria fantastica, il carro falcato che ispirò Leonardo e Voltaire, la liburna o nave a ruota che stupì Ruggero Bacone: se dal trattato scaturisce l’immaginario bellico dell'umanesimo e dell’illuminismo, l’interesse per il macchinismo e per il risparmio di forza-lavoro o forza-combattimento contribuisce a individuare nella rivoluzione economica tardoantica la fonte di quell'innovatività che si riscontrerà più avanti, e a sfatare così almeno in parte la teoria delle inventions médievales fino a Bloch. Le proposte dell'Anonimo, forse un ex-burocrate, si riferiscono a un esercito ammodernato solo nell’ambito d’una riduzione della spesa pubblica in genere e militare in specie, il deficit essendo «il più grande dei mali dell'impero» e «dalle spese irragionevoli proliferando le guerre». In questo senso il De rebus bellicis e in realtà piuttosto un saggio di economia politica che un trattato militare, ed anzi perviene a osservare le conseguenze dei fenomeni economici in termini essenzialmente sociali (come nel penetrante saggio introduttivo sottolinea Giardina, con ciò accostandosi alla tendenza dominante dell’odierna critica storica, da Santo Mazzarino alla Cracco Ruggini).
L’origine dell’instabilità politica e del ribellismo popolari risiede nell'ingiustizia sociale canonizzata dalla riforma monetaria costantiniana che ha arricchito i potentes e impoverito i tenuiores per l’immediata polverizzazione del circolante non prezioso con l'immissione della moneta aurea o solidus. Rivendicando una libertà di pensiero ed espressione (philosophiae libertas) davvero inusitata nel clima dell’autocrazia bassoimperiale, l’Anonimo irosamente ne denuncia il malcostume politico. Anziché tutelare l’armonica convivenza dei cittadini, gli amministratori locali «si sentono mandati nelle province come trafficanti», e In esse «il denaro pubblico destinato alle opere edilizie è oggetto di speculazioni consuete», è una votiva direptio, una «rituale rapina».