E contro l'ansia un mazzo di papaveri
Walter Burker, Antichi culti misterici
Articolo disponibile in PDF
In questa «fenomenologia dei misteri antichi» Walter Burkert, il maggior storico vivente della religione greca, indaga aspetti e vicende dei cinque grandi culti iniziatici (Mitra, Iside, Meter, Dioniso, Eieusi) nei quali la civiltà pagana riflesse, prima dell’era cristiana, la propria esperienza del sacro. «Se la crescita del cristianesimo fosse stata fermata da una qualche malattia mortale, il mondo sarebbe stato di Mitra», scrisse Renan. Dall’età dei Severi a Costantino dilagò nell’impero in guerra una religione ecumenica d’imperatori e retori, legionari e mercanti: il circuito sotterraneo dei mitrai corse dal Reno all’Eufrate con i suoi simboli astrali e la sua iconografia sanguinaria. Ma altre folle «dalle vesti di lino e dalle teste rasate», congregazioni di vati e ierofanti, eunuchi, epopti e bacchoi, portatori di torce, incensi e sistri già attraversavano l’alta classicità e l’antica letteratura: l’allusione ai misteri della Grande Madre frigia scandisce la poesia di Catullo, è isiaca e dionisiaca la struttura iniziatica del romanzo ellenistico, lo scenario eleusino si schiude nella prosa platonica. Nelle severe processioni di Iside, nei sacrifici di Eieusi, nel «giorno di sangue» metròaco o nella frenesia Bacchica il mito di un dio che muore e risorge per la salvezza degli uomini animò per secoli, ricorda Burkert, la ritualità estatica e forse allucinata (il papavero di Demetra) con cui gli antichi combattevano l’ansia depressiva (ptotesis), la paura del mondo o della morte.
Burkert ricorda che Livio ne scrisse allarmato: «Un'altro popolo sta per levarsi». Pure, nonostante il timore suo e dei senatori romani che votarono l’interdetto ai Bacchanalia, non furono i seguaci di Dioniso il nucleo della prima religione di massa, e neppure l’origine: delle religioni classiche Burkert riconosce la natura «fragile ed elitaria». Egli sottopone alla prova inconfutabile dei dati e d’una critica positiva, distaccata e agnostica la tesi con cui da Renan a Frazer e da Reitzenstein a Cumont la prima scienza storica delle religioni vide nel cristianesimo soltanto un altro dei culti misterici orientali.
L'opposizione di Burkert non è affatto a difesa del nuovo credo, l’«eresia giudaica» che al suo come all’occhio pagano appare invece una «religione di tombe» per propria natura inconciliabile con libertà e letizia di vivere. Il carattere individualistico, empirico, non dogmatico e perfino non teologico delle religioni misteriche le associano per Burkert «alle possibilità e ai rischi della libertà individuale che era nata nel mondo ellenico» e le fanno incompatibili con l’intollerante impero cristianizzato, dove subito Teodosio proibì la loro pratica, decretandone la decadenza e l'oblio.