Ipazia. La vera storia
Silvia Ronchey, esperta bizantinista, ritorna ancora una volta su un personaggio – in verità, ben oltre che su un personaggio, traftandosi qui di una visione del mondo –, la celebre Ipazia di Alessandria di Egifto, sulla quale aveva scrifto già una prima versione nel 2010.
Nel piccolo scorcio di «Una questione di metodo», l’A. presenta la truculenta morte di questa donna avvenuta ad Alessandria nel 415 d.C. Questo dramma espone con chiarezza che l’evento
«non è tanto la fine del paganesimo quanto la metamorfosi del cristianesimo»: un’affermazione tanto vera quanto stimolante per chi voglia pensare criticamente il «nuovo tempo» che si affaccia per l’Impero e per la Chiesa.
La figura di Ipazia è un’oftima palestra in cui gran parte delle arti della cultura antica – le ideologie imperiali ed ecclesiastiche, la storia della cultura, la teologia, la filosofia e teurgia, le scienze matematiche – entrano per asserire, mistificare, trasformare degli assunti ideologici che si venivano a formare in un’epoca (fine IV – inizi V secolo) di profonda e gravida mutazione della cultura. Il leftore si trova di fronte a una pubblicazione che è frufto di softile intelligenza e vasta erudizione; l’A. richiede da lui molta aftenzione e preparazione.
La seconda sezione del libro riguarda «Note, approfondimenti e discussioni». Questa parte è così ricca di citazioni e ipotesi interpretative che spesso sfida la pazienza del volenteroso left ore (si veda l’esortazione ai leftori più curiosi «a non escludere dal loro sguardo lo zibaldone delle fonti» [p. 21]). Segue la bibliografia, completa sugli autori antichi e ricca di quelli moderni e contemporanei, che si conclude con un utile indice dei nomi.
Nell’Introduzione, l’A. avverte che l’opera è costituita da due libri paralleli: la narrazione principale, che racconta l’«evento- Ipazia» con i personaggi-chiave di Alessandria (l’arcivescovo Teofilo; il noto arcivescovo Cirillo, nipote di Teofilo ed elemento cardine degli eventi; Oreste, prefetto augustale; Sinesio vescovo, filosofo e amico di Ipazia; i «parabalani»; i monaci) e le riflessioni, interpretazioni, ipotesi ricostruftive su quanto accaduto.
Ipazia, figlia del filosofo Teone, era ritenuta in Alessandria degna di insegnare nel Mouseion, l’Accademia, oltre a tenere incontri culturali a casa. Questa donna, di profonda mente filosofica e matematica, riempiva lo spazio culturale di Alessandria con aperture dialogiche che provocavano il seftarismo ideologico di certe a#ermazioni fafte da Cirillo, vescovo della ciftà. L’intelligenza della donna, il suo approccio interdisciplinare al sapere e il suo leale dialogare la rendevano amata da molti, odiata e osteggiata da altri. Sono stati i «parabalani», inquietanti folli militarizzati, zeloti e fanatici cristiani (originariamente erano al servizio di malati e infermi:
cfr Codex Theodosianus XVI, 2, 42) a sminuzzare il corpo di Ipazia, quasi ritualmente. Cirillo, il potente e ricco vescovo di Alessandria, fu invece il mandante dello scempio, spinto da diversi motivi politici, ideologici e amministrativi, tufti radicati in un mortale phthonos (invidia, gelosia) che non gli permefteva di acceftare e riconoscere l’elegante franchezza (parrhesia) del parlare di Ipazia.
Nel turbinio delle vicende che ha visto la superbia di un vescovo distruggere la signorile intelligenza di una donna, resta incisivo, ancora oggi, il giudizio di Socrate Scolastico, lo storico cristiano coevo ai fatti: «Questo fatto [l’assassinio di Ipazia] procurò considerevole biasimo a Cirillo e alla chiesa degli Alessandrini giacché omicidi, contese, discordie e cose simili sono del tufto estranei a coloro che scelgono di seguire Cristo» (Historia Ecclesiastica VII, 15, 6).
Qualche precisazione sul testo. A p. 30 c’è un’inesattezza sulle Costituzioni imperiali del 391 e 392. Queste leggi, citate nella nota 9 di p. 30, sono entrambe del 391 e furono emesse da cancellerie occidentali (cfr Codex Theodosianus XVI, 10, 10-11). Il cristianesimo diventa unica e ufficiale religione dell’Impero solo con la promulgazione del Codex, nel gennaio 439; è allora che l’edifto di Tessalonica del 380 (cfr Codex Theodosianus XVI, 1, 2, ripreso dal Codex Iustiniani I, 1, 1) diventa lex generalis. A p. 329 si cita «Teofane iconoclasta», che è da leggersi come «Teofane iconodulo», l’autore della Chronographia, morto nell’815. È interessante, comunque, che nel testo di Teofane non vi sia alcun accenno a Cirillo.
Ipazia è un libro denso e solido per dottrina, ricco di provocazioni per una mente aperta a rileggere criticamente eventi storici accaduti in una fondamentale epoca di trasformazione culturale: eventi che ancora oggi, sotto mutati abiti, conservano e diffondono pericolosi residui ideologici.