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Il sacro perduto è il nuovo argine contro i nuovi fondamentalismi

La storica presenta nella biblioteca malatestiana di Cesena il suo ultimo saggio

29/04/2018 Claudia Rocchi

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Il Corriere di Romagna

La storica bizantinista Silvia Ronchey, docente all’Università RomaTre, presenta alle 17 in bi­blioteca Malatestiana a Cesena il libro “La cattedrale sommersa. Alla ricerca del sacro perduto” (Rizzoli, 2017).

Quale lo spunto della sua nuova ricerca?

«E stata come un’esplorazione subacquea partita dalla consta­tazione del nostro smarrimento di consapevolezze; da un lato quella del passato collettivo di storia, tradizioni, cultura; dal­l’altro quello individuale ricon­ducibile a radici psicologiche».

Perché parla di sacro perduto?

«Perché abbiamo smarrito il sa­cro. Si parla di guerre di religio­ne, di scontri, integralismi e con­fessioni, eppure mai come in questo periodo c’è una esigenza di ritrovare e capire il sacro; nel­la nostra memoria, nella storia, nel passato culturale collettivo, ma anche dentro di noi, nella co­scienza».

È ricorrente nel libro la direttrice orizzontale Oriente-Occidente.

«Ciò perché emerge che la no­stra civiltà, per cultura, interes­si, economia, sta vivendo una nuova gravitazione verso Orien­te, che è ciclica nella storia (ri­cordiamo quando Costantino spostò la capitale dell’Impero romano sul Bosforo), mai inter­rotta, anche se a volte sotterra­nea. Siamo attratti dalle religio­ni orientali, da Buddismo e I­slam. Affronto perciò i rapporti fra religioni: paganesimo classi­co, religione olimpica, orienta­le, Cristianesimo, Mitraismo, cultura nestoriana. Tutte Chiese che stanno scontando le conse­guenze dei conflitti in Siria, I­raq, Medio Oriente, anche sul piano dei simboli».

La simbologia è un altro suo rife­rimento.

«Perché abbiamo smarrito sen­so e provenienza dei simboli. Ho analizzato la terribile svastica del Novecento, in origine sim­bolo posato sul cuore del Budda nell’iconografia indiana orien­tale. E poi la mezzaluna dell’I­slam, in realtà simbolo femmi­nile, lunare, che proviene dalla grande madre mediterranea e dalle religioni classiche. Capire la storia dei simboli ci fa com­prendere il mondo sommerso dentro di noi».

Dai simboli e dal passato bizanti­no si riallaccia agli attuali conflit­ti.

«La storia ci dice che quel lonta­no passato ha tenuto a freno al­cuni problemi attuali; le cadute del Novecento, all’inizio del­l’impero ottomano, alla fine di quello russo poi sovietico, han­no aperto uno scenario nuovo che ha condotto all’esplosione dei conflitti etnici. È vero che c’e­ra stato il colonialismo ma, co­me diceva il grande storico Fernand Braudel, dobbiamo guar­dare la storia in relazione “del­l’onda lunga”, a un passato non prossimo. Da qui il mio sguardo su Bisanzio, cerniera e chiave della doppia vocazione fra I­slam e Cristianesimo che bru­scamente il Novecento ha ter­minato».

Quali suggerimenti per supe­rare gli ostacoli della storia di questi giorni?

«È importante avere una cono­scenza collettiva che ci faccia comprendere quanto le cose siano meno semplici di come vengono dette dai politici, e quanto grande è la mistifica­zione, la propaganda».

Quale invece il ruolo nel pre­sente di una biblioteca come la Malatestiana di Cesena?

«Avere messo in rete già nel 2003 molti dei suoi preziosi Codici, credo sia stato un lavo­ro fantastico, che ha dato op­portunità a studiosi di tutto il mondo, io stessa me ne sono servita per la stesura del mio “L’enigma di Piero”».

 


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